martedì 20 dicembre 2011

Milano: Messa Natalizia dell'Ordine Mauriziano




Venerdì 16 dicembre, a Milano, presso il Tempio Civico di San Sebastiano vi è stata la Santa Messa di Natale della Delegazione Lombarda dell'antico Ordine (religioso, ospedaliero, militare e dinastico) dei Santi Maurizio e Lazzaro. La funzione è stata celebrata dal Priore della Delegazione lombarda, Cav.Uff. Don Simone Rolandi, che ha ricordato lo storico legame simbolico e spirituale che, da sempre, unisce gli Ordini Dinastici della Real Casa di Savoia al Santo Natale di Nostro Signore Gesù Cristo e, in particolare, alla Santissima Annunziata. Il Delegato Regionale della Lombardia, S.E. Cav.Gr.Cr. Principe Don Alberto Giovanelli, ha portato i saluti delle LL.AA.RR. Vittorio Emanuele e Marina (Duchi di Savoia e Principi di Napoli) ed Emanuele Filiberto e Clotilde di Savoia (Principi di Venezia) ed ha concluso leggendo la Preghiera dei Cavalieri dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Presenti: S.E. il Cav.Gr.Cr. Stefano Di Martino (vice Delegato della Lombardia), S.E. il Cav.Gr.Cr. Conte Giacarlo Melzi d’Eril dei Duchi di Lodi (Vicario di Milano), le “gran dame” Silvana Fiolini Alessio e Contessa Maria Lorenza Fisogni Thellung de Courtelary, il Barone Guglielmo Guidobono Cavalchini dei Conti di Scioltze (Delegato Regionale del Sovrano Militare Ordine di Malta), il Conte Luigi Mastroianni di San Marcellino e Arpino (Delegato delle Guardie d’Onore di Milano, Lodi e Monza), la Marchesa Carla Properzi Beccaria Incisa di Santo Stefano, la Contessa Francesca Passerin d’Entreves, il Conte Ottavio Ferretti di Castel Ferretto, il Conte Carlo Pietrasanta, il Conte Federico Sagramoso, il Barone Roberto Jonghi Lavarini von Urnavas, il Nobile Mario Filippo Brambilla di Carpiano, diverse Dame e Cavalieri dell’Ordine Mauriziano e dell’Ordine al Merito di Savoia, numerose Guardie d’Onore, autorità civili e militari, rappresentanti di diverse associazioni monarchiche, patriottiche, combattentistiche e d’arma.

mercoledì 2 novembre 2011

lunedì 10 ottobre 2011

Cena di Gala e Beneficenza dell'Ordine Mauriziano a Milano



Venerdì 7 ottobre 2011, presso Palazzo Cusani in Via Brera a Milano, si è svolta la Cena di Gala e di Beneficenza organizzata dalla Delegazione dell’antichissimo e prestigioso Ordine cavalleresco (religioso, ospedaliero, militare e dinastico) dei Santi Maurizio e Lazzaro della Lombardia. Erano presenti il Generale Gran Maestro, Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, Duca di Savoia e Principe di Napoli, Capo della Real Casa, insieme alla Principessa Marina; accompagnati dal Delegato regionale Sua Eccellenza il Principe Don Alberto Giovanelli.

Sono intervenute oltre trecento persone, gentili Dame e signori Cavalieri appartenenti agli Ordini Dinastici di Casa Savoia, rappresentanti della aristocrazia milanese e lombarda, della politica e delle istituzioni locali, del mondo della cultura e della imprenditoria, fra i quali: S.E. Stefano Di Martino (vice Delegato regionale, già vice Presidente del Consiglio Comunale di Milano), S.E. il Nob. Sandro Pierato (Membro della Consulta dei Senatori del Regno), il Rev.mo Don Simone Rolandi (Priore della Lombardia), il Nob. Don Giancarlo Melzi d’Eril dei Duchi di Lodi (Vicario di Milano), i fedelissimi Urbano e Silvana Alessio (rispettivamente Cavaliere e Dama di Gran Croce dell’Ordine Mauriziano), il Barone Guglielmo Gudobono Cavalchini dei Conti di Sciolze (Delegato Lombardo del Sovrano Militare Ordine di Malta), il Conte Cav. Andrea Boezio Bertinotti Alliata, il Cav. Claudio Pennati (Delegato Lombardo della Associazione Nazionale Insigniti degli Ordini Cavallereschi), i Conti Ganassini di Camerati, i Baroni Jonghi Lavarini von Urnavas.

Impeccabile organizzatrice della serata è stata la Contessa Maria Lorenza Fisogni Thellungh de Courtelary, Dama di Gran Croce dell’Ordine Mauriziano, coadiuvata dai giovani cavalieri Alberto Di Maria e Federico Pizzi. I proventi della iniziativa andranno a favore delle molteplici opere caritatevoli dell’ordine: acquisto di macchinari ospedalieri ed ambulanze in Europa e sostegno economico di alcuni lebbrosari in Africa.




lunedì 12 settembre 2011

Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Delegazione della Lombardia degli Ordini Dinastici della Real Casa Savoia: Cena di Gala a Milano


Walser Uradel Kulturverein





Il Nob.Cav.Dott. Roberto Jonghi Lavarini, Nobile Decurione di Ornavasso, Patrizio Ossolano, Uradel von Naters, Freiherr von Urnavas, Delegato per l'Italia della associazione culturale aristocratica europea Walser Uradel Kulturverein.

“Storia ed Iconografia di Famiglie Nobili e Nobilitate” di Vito Caterini



E’ in fase di distribuzione il libro illustrato “Storia ed Iconografia di Famiglie Nobili e Nobilitate”, edito dalla Casa Editrice NordSud e realizzato dal Nob. Grande Uff. Dott. Vito Caterini (appassionato ed esperto studioso di araldica ed ordini cavallereschi). Nella pregevole pubblicazione sono raccolti numerosi stemmi a colori , fra i quali, quelli delle famiglie: Aliprandi, Crociani Baglioni, Comneno, Ganassini, Jonghi Lavarini, Lupis Macedonio, Romei Longhena e Zoia. Il volume (17X24 cm) di oltre 200 pagine, può essere richiesto direttamente all’autore e verrà spedito per contrassegno postale. Il contributo richiesto è di 45,00 € più spese di spedizione. Informazioni: vitogaetanoc@gmail.com – Cell 380.7580002

lunedì 29 agosto 2011

L'aristocratica Cortina, regina delle Dolomiti



CORTINA, la regina delle Dolomiti, tradizionale ritrovo della NOBILTA' italiana. Sempre presenti i locali signori, i nobili De Zanna di Santa Trinità e Pietra Reale, la principessa Doris Pignatelli e la contessa Marta Marzotto, il duca Gian Galeazzo Visconti di Modrone ed il marchese Luca Cordero di Montezemolo, i romani conti D'Amelio (fedelissimi della Real Casa Savoia) ed i loro parenti bresciani, i conti Folonari; la contessa Federica Marchetti Luda di Cortemiglia ed il conte Giorgio Cabalini di Sassoferrato, il marchese Francesco Montani della Fargna ed il nobile Valperto Avogadro degli Azzoni, donna Arabella Gaetani de Lazara e la contessa Maria Carolina Agliardi Moneta Caglio de Suvich con la sua ospite, la baronessa Veronica Jonghi Lavarini von Urnavas; il barone Adolfo Frigessi di Ratalma e la contessa Annamaria Spagnoletti Zeuli, la contessa Elena Palazzi Trivelli Sabatini ed il nobile Arrigo Archibugi Ferretti, la nobildonna Giovanna Antilici de Martini di Valle Aperta e la contessa Donatella Ganassini di Camerati, donna Carmela Fisca Saccomani Favaretto ed i baroni Treves de Bonfili, i baroni Grimaldi di Serravalle ed i nobili von Hersak.

Villa Malta a Rapallo (Ge)



Anche quest'anno, Sua Altezza Eminentissima Fra' Matthew Festing, Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) ha soggiornato, una decina di giorni, lo scorso mese di luglio, nella storica e prestigiosa villa Malta (donata all'ordine dai marchesi Spinola), a San Michele di Pagana, a Rapallo (Genova). Nella limitrofa Santa Margherita Ligure, la perla del Tigullio, durante le vacanze est...ive, da generazioni, soggiornano diverse antiche famiglie aristocratiche piemontesi e lombarde, legate all'ordine giovannita, fra le quali: i Boetti Villanis Audifredi, Accusani di Retorto, i Brambilla di Carpiano e quelli di Civesio, i Ganassini di Camerati, i Gudobono Cavalchini di Sciolze, gli Jonghi Lavarini di Urnavas ed i Rosignano.

La nobile famiglia dei Bertinotti di Balangero

FAMIGLIA BERTINOTTI
CONTI DELL’ IMPERO D’ AUSTRIA, CONTI PALATINI, SIGNORI DI BALANGERO,
NOBILI DEL SACRO ROMANO IMPERO
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LEVANO PER ARMI: D’ORO A TRE PALI DI ROSSO, ACCOLLATO ALL’ AQUILA DELL’ IMPERO
MOTTO: SIT PRO RATIONE VOLUNTAS

La nobile famiglia Bertinotti, di rango comitale, appare senza dubbio come una delle più anticamente documentate del Piemonte. Si tratta di un cognome assai poco diffuso, riconducibile ad un unico ceppo originario che appare tra le più rilevanti famiglie del XIII secolo nelle Valli di Lanzo. L’ origine è probabilmente nel longobardo “bertha”, luminoso, passato per anaferesi nel cognome. Si tratta, peraltro, di un caso abbastanza raro: il cognome, che come appare tal quale è assai antico, è giunto incorrotto nella sua forma originaria fino a noi, esattamente come riportato nei documenti tardo medievali (Franchisie concesse comitatus et hominibus Balagerij Mathiarum et Villaenove, 1346). La prima attestazione certamente riscontrata della famiglia Bertinotti risale al XVI secolo, per la precisione al 17 del mese di giugno 1348: in quella data l’ Abate del monastero di san Mauro Pulcherada, che vantava ab immemorabili diritti sovrani sulle terre di Balangero, Mathi e Villanuova promananti da una bolla dell’ imperatore Ottone (G. Mola di Nomaglio, Feudi e Nobiltà nelle Valli dei Savoia, 2006), infeudò i diritti di Signoria, successione, dazi e terze vendite a favore di alcuni abitanti di Balangero tra i quali compare un” Antonio Bertinotti”, dietro pagamento della cifra assai considerevole di 100 soldi d’ oro pro capite ogni anno nella data di San Martino (G. Mola di Nomaglio, Feudi, cit.). La cifra era piuttosto ingente, denunciava già a metà del XIV secolo la rilevanza economica della famiglia Bertinotti. Si tratta, si badi bene, della sola famiglia Bertinotti presente in tutto il lanzese e il canavese, pertanto è da escludersi la confusione con omonimi: Bertinotti è anzi la forma ipocoristicamente deformata di Berti o Bertini, cognomi entrambi presenti nel torinese, deformazione operata plausibilmente alla metà del XIII secolo proprio per differenziare i vari ceppi. Dall’ esame dei documenti storico-familiari (G. de Longis Cristaldi, Archivi di Famiglie e di Persone, materiali per una guida, 1998), pur difettando riscontri genealogici certi per alcune carenze negli specifici registri parrocchiali nel periodo tra il 1300 e il 1500, appare abbastanza certo che quella lanzese sia il ceppo originario della famiglia Bertinotti di Cureggio (NO), il cui primo stipite genealogicamente collegato all’ istante Andrea Boezio Bertinotti è tale Giovanni Boezio Bertinotti, battezzato in Cureggio il 10 giugno 1489 e figlio di Giovanni Bertinotti e Maria Pelberti di Pietro, entrambi nativi di Balangero: il collegamento araldico-genealogico tra i Bertinotti di Cureggio ed il ceppo lanzese appare quindi incontrovertibilmente fondato ed accertato nella documentazione ecclesiastica, anche perché prima del sunnominato Giovanni Boezio il cognome Bertinotti risulta del tutto estraneo all’ areale novarese (Gli archivi della Collegiata di Borgomanero, 1907).
Proprio questo Giovanni Boezio, in data 10 marzo 1511 viene insignito da papa Giulio II della Rovere della Contea Palatina maggiore, ossia ereditabile in infinito per tutta la discendenza; contea palatina nel senso più ampio, con facoltà di legittimar bastardi (tranne quelli di stirpe reale, privilegio concesso solo al palatino del Reno), restituire in pristino le persone ingiuriate e soprattutto la facoltà, sotto l’ autorità del Pontefice, di concedere Armi e titoli nobiliari non trasmissibili (cosiddetti minori), prassi comune per i palatini Lateranensi. La concessione avvenne in seguito all’ incarico, ricoperto dallo stesso Giovanni Boezio, di gonfaloniere della Chiesa nell’ ambasciata condotta a Berna con il legato pontificio De Grassi, missione per il quale il Bertinotti mise a disposizione cavalcature e militi di scorta.
La citata disponibilità della cifra di cento soldi d’ oro fino per l’ acquisto dei diritti feudali era giustificata solo da rendite piuttosto alte, la cui origine è forse identificabile nella traccia che ci è lasciata dal consegnamento d’ armi che il duca di Savoia, Carlo Emanuele I, indisse nel 1580. La famiglia Bertinotti consegnò il proprio stemma (d’ oro a tre pali di gueules) al delegato camerale, il quale dietro il pagamento dell’ emolumento di 40 scudi d’ oro rimise al Duca la decisione circa la concessione dell’ uso dell’ Arma. La risposta del Duca, redatta in carta pesante riportante sigillo cartaceo del Duca medesimo e da lui debitamente firmata ed interinata, non lascia dubbio circa l’ antichità e la nobiltà della famiglia: non si limita a concedere l’ uso in quanto arma la cui antichità è già notoria nel XVI secolo, ma riconosce ai Bertinotti il titolo di Signori di Balangero per tutta la loro discendenza maschile in infinito, non come concessione ex novo ma come semplice rinnovazione di un titolo esistente in capo all’ istante: è quindi corretto far risalire la nobiltà generosa accertata genealogicamente alla nascita di Francesco Bertinotti di Luigi nel 1558. Pare infatti che fin dalla metà del 1400, da quando cioè il monastero di San Mauro era stato commendato all’ abate Vasino Marabilia, tutti i Consignori abbiano smesso di versare l’ indennità dovuta per la concessione del feudo, mentre i Bertinotti continuarono puntigliosamente a rimettere la cifra fino alla metà del 1500 (Le carte degli archivi piemontesi, politici, amministrativi, giudiziari, finanziari, comunali, ecclesiastici e di enti morali, Fratelli Bocca, 1881), in ciò agevolati dalle esazioni e dalle gabelle che la concessione fruttava, restandone quindi gli unici titolari riconosciuti dal Sovrano. All’ Arma della famiglia Bertinotti, quindi, nel 1580 viene collegato il titolo nobiliare di Signore di un importante feudo come quello di Balangero. Interessante però, nell’ esergo della risposta del duca, l’ indicazioni dei Bertinotti come “già nobili della casa d’ Este”: è interessante perché è storicamente accertato che effettivamente gli Este esercitavano sovranità su quelle terre prima dei Savoia, è quindi plausibile che i Bertinotti venissero inviati dagli Este come nobili della Corte per amministrare il feudo, il che giustificherebbe la disponibilità economica di cui la famiglia disponeva per rilevarlo nel 1348 e la ricezione nobiliare da parte del Savoia come mero atto di riconoscimento di uno status precedente.
Verso la fine del XV secolo la famiglia si è trasferita dalle valli di Lanzo nel marchesato di Cureggio (F. Allegra, Borgomanero cronache di un Millennio, 1963), anche questo retto all’ epoca dagli Este e poi passato ai Savoia a fine XVIII secolo, e forse proprio in ragione di una antica fedeltà alla casata Estense si può spiegare l’ abbandono delle valli lanzesi per emigrare sui colli novaresi, oppure per un mutato assetto degli assetti economici della famiglia. E’ interessante notare come in tre dei cinque certificati di battesimo redatti in Cureggio durante la signoria marchionale estense figurassero come padrini dei primogeniti della famiglia Bertinotti i marchesi di Este rispettivamente nelle persone dei marchesi Ercole Filippo d’ Este padrino di Fiorentino Bertinotti (1590), Sigismondo d’ Este per Giulio Boezio Bertinotti (1615) e Sigismondo Francesco d’ Este, ultimo marchese di Borgomanero e Cureggio, per Francesco Maria Bertinotti nel 1711. Il parrinaggio battesimale, privilegio onorifico concesso dai marchesi in pochissime, sporadiche occasioni, dimostra il favore e l’ importanza della famiglia nel secolo estense del marchesato di Borgomanero e Cureggio (G. Colombo, La Storia di Borgomanero, 1978).

Proprio in questo periodo la famiglia Bertinotti, anche grazie a una oculata politica matrimoniale con le famiglie nobili e notabili del novarese, raccolse abbastanza denaro ed influenza per costruire, in Borgomanero, un grande convento in quartiere San Leonardo dove molti membri della famiglia conclusero i loro giorni, come devotamente registrato negli archivi del monastero (chiuso sotto il dominio naopoleonico) oggi conservati nella Collegiata di San Bartolomeo in Borgomanero (P. Zanetta, Ad Banchum Juris Burgi Maynerii, 1986). Tradizionalmente il cadetto della famiglia ricopriva l’ incarico di amministratore ed abate secolare del monastero.

Per quanto riguarda i legami familiari dei quali possiamo presentare documentazione genealogica, è interessante notare da un lato un’ accorta politica matrimoniale con alcune famiglie aristocratiche novaresi (contessa Clementina Marazza con Ludovico Bertinotti nel 1557, contessa Anna Maria Tornielli di Vergano con Francesco Bertinotti nel 1580, marchesa Marianna Fontana Ferrari Ardicini con Giulio Boezio Bertinotti nel 1637) e nel 1677 con Maria Cristina di San Giorgio, contessa di Pombia e Biandrate, che ha portato in dote un intero forziere di oro e rubini oltre al suo prezioso antichissimo sangue arduinico di stirpe reale. E’ anche interessante notare che, nell’ atto di battesimo di Stefano Baldassarre Bertinotti del 1640 è indicato come padrino il conte Giovanni Battista Fossati, abate commendatario, la cui antichissima famiglia comitale era all’ epoca al vertice del potere e dell’ influenza politica; anche questa una dimostrazione dell’ accuratezza nella scelta dei legami familiari, sia pure indiretti.
Dopo l’ estinzione della signoria Estense sul marchesato di Borgomanero i nuovi Signori, i Savoia, riconobbero a Gaspare Bertinotti, Signore di Balangero, l’ incarico di attuaro collegiato per la neo acquisita provincia di Borgomanero, con scrupolosa indicazione di tutti i municipi di competenza. Ci resta l’ originale del decreto di nomina, in pergamena con grosso sigillo in ceralacca incusso in custodia di piombo, firmato da Vittorio Amedeo III nell’ anno 1789. Ad esso incarico, come debitamente ricordato nella pergamena autografa del Sovrano, era collegato il titolo nobiliare di Nobile del Sacro Romano Impero per l’ insignito e per “lor figliuoli e descendenti in infinito”, aggiungendo quindi al titolo di Signore di Balangero anche quello di Nobile del Sacro Romano Impero.
Gaspare Maria Bertinotti sposa nel 1804 Anna Maria Baroli, dalla quale riceve in dote un grande appezzamento di terreno in prossimità di Piacenza, in località Baselicaduce. Probabilmente in quanto troppo distante dalla sua zona di residenza, oppure per devozione verso la casa d’ Asburgo (fedeltà da questo punto in poi mai rinnegata, e che causerà nel 1915 la perdita di tutte le fortune economiche della famiglia), Gaspare redige un fedecommesso testamentario. Va notato che il fedecommesso è istituto esclusivamente nobiliare con il quale il testatore dispone di beni immobili o fondiari per il periodo successivo alla propria morte. Su essi fondi Gaspare costituisce una commenda di juspatronato familiare per il Sacro Angelico Imperiale Ordine Costantiniano di San Giorgio, rifondato e retto dall’ arciduchessa Maria Luigia d’ Asburgo duchessa sovrana di Parma e Piacenza. La creazione di commenda di juspatronato familiare dell’ Ordine Costantiniano è sufficiente, secondo ogni massamario, per radicare in capo al rogante ed alla sua discendenza la nobiltà generosa. Contestualmente all’ erezione, e quindi al conferimento per motu proprio della Commenda dell’ Ordine Costantiniano, viene conferita a Gaspare anche la Grande Croce dell’ Ordine Imperiale di Leopoldo, onorificenza asburgica che comporta per l’ insignito del rango di Gran Croce l’ incarico di consigliere intimo nonché di cugino di Sua Maestà Imperiale Reale ed Apostolica e per lui e i suoi successori maschi in infinito il titolo di Conti dell’ Impero d’ Austria e del Regno Apostolico di Ungheria &c &c.
I discendenti di Gaspare mantennero il titolo comitale e la commenda di juspatronato fino alla annessione del Ducato parmense prima alle Province d’ Emilia e successivamente al Regno di Sardegna, nel 1860. La famiglia Bertinotti, ritenendosi sempre legata alle origini estensi e quindi alla casa d’ Asburgo, non volle in alcun modo appoggiare l’ occupazione del Ducato; all’ atto di incorporazione della Commenda Costantiniana della famiglia Bertinotti nel patrimonio dell’ Ordine Mauriziano, nel quale i beni costantiniani confluirono, Silvano Bertinotti non ritenne di aderire abbandonando le terre ed i mansi all’ amministrazione sarda senza prendervi alcuna parte. L’ Ordine mauriziano, non potendo avocarli in quanto commendati per fedecommesso, li alienò ad alcuni maggiorenti del nuovo notabilato locale.
Similmente non fu promossa alcuna opera di riconoscimento delle titolature nobiliari presso la corte sabauda, titolature che peraltro continuarono ad essere pacificamente utilizzate localmente.
Giovanni Bertinotti, nato a Fobello nel 1914 e tenuto a battesimo dall’ industriale automobilistico valsesiano Vincenzo Lancia, divenne nel dopoguerra un dirigente regionale del partito della Democrazia Cristiana assieme ad Achille Marazza, di cui fu intimo amico e collaboratore, oltreché legato da antichi intrecci familiari. Fu proprio il Marazza che trattò con Mussolini e con il cardinale Ildefonso Schuster la resa del Duce a Milano nel 1945. Benemerito della chiesa cureggese, il conte Giovanni Bertinotti donò il terreno su cui costruire l’ ACLI e l’ asilo nido per i bimbi del paese, e offrì l’ intero suo patrimonio per il restauro della chiesa arciparrocchiale e per l’ antico battistero cureggese risalente all’ XI secolo, oggi monumento nazionale.
Pierangelo Bertinotti, nato nel 1938 e coniugato con Maria Luigia Alliata (famiglia di Gozzano discendente dal ramo pisano degli Alliata che contò molti cavalieri dell’ Ordine di Santo Stefano Papa e Martire), è imprenditore alberghiero noto in tutta Italia. Per l’ attività di diffusione della cultura culinaria italiana all’ estero, dove è docente in vari istituti, è stato decorato del rango di Cavaliere Ufficiale al Merito della Repubblica.
Andrea Boezio Bertinotti, nato nel 1974, è capo della sezione sanitaria milanese del CISOM, corpo di soccorso del Sovrano Militare Ordine di Malta; è anche responsabile della formazione sanitaria dei volontari milanesi del CISOM, dei barellieri e delle sorelle. E’ editore di testi storico artistici, studioso di arte medievale ed archeologia industriale piemontese. Prima di dedicarsi all’ attività editoriale, dapprima per Franco Maria Ricci indi in proprio, ha ricoperto per diversi anni l’ incarico di Conservatore del Registro Fiat Italiano in Torino.

lunedì 25 luglio 2011

NOBILI e CAVALIERI



Il Centro Studi Storici e Politici Internazionali Patria e Libertà, presieduto dal Conte Prof. Fernando Crociani Baglioni (Presidente dalla Accademia di Studi sugli Ordini Cavallereschi, Membro del Collegio Araldico e della Società Genealogica Italiana, Cavaliere di Grazia e Devozione dello SMOM, Cavaliere di Gran Croce dell'OESSG e Grande Ufficiale dell'OSSML), aderisce al manifesto del Fonte della Tradizione, teso a ridare dignità e senso ai valori di Cavalleria ed Aristocrazia.

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Pur rispettando tutte le iniziative singole e private che si ispirano ai concetti ed ai valori cristiani ed europei di nobiltà e cavalleria, per serietà e rispetto della storia, il Fonte della Tradizione, d'ora in poi, riconoscerà e darà spazio solo:

- ai NOBILI riconosciuti tali dal COLLEGIO ARALDICO di Roma (che edita lo storico Libr...o d'Oro della Nobiltà Italiana, presente anche su Facebook), dalla SOCIETA' GENEALOGICA ITALIANA (S.G.I. che edita il Libro d'Oro della Nobiltà Mediterranea e che gestisce il portale enciclopedico Aristopedia, presente anche su Facebook), dal Corpo della Nobiltà Italiana (C.N.I.), dal Corpo della Nobiltà della Sardegna, dall'Istituto Accademico Araldico Genealogico delle Due Sicilie, dall'Istituto Araldico Genealogico Italiano (I.A.G.I.) e dalla Società Italiana di Studi Araldici (S.I.S.A). Per quanto riguarda i titoli e nobili stranieri, verranno sono riconosciuti solo quelli approvati dalla C.I.L.A.N.E. (Commission d'Information et Liaison des Associations Nobiliaires Européennes);

- agli ORDINI CAVALLERRESCHI (Dame e Cavalieri) degli stati sovrani, agli ordini pontifici ed a quelli riconosciuti dallo Stato Vaticano come lo S.M.O.M. (SOVRANO MILITARE ORDINE di MALTA) e l'O.E.S.S.G. (Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme), agli ordini dinastici come l'O.S.S.M.L. (Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro), l'Ordine Costantiniano di San Giorgio (dei legittimi rami di Parma, Napoli e Spagna) e quelli dei legittimi rappresentanti delle ex Case Sovrane d'Europa riconosciuti dalla "Commission Internationale Permanente d'Etudes des Ordres de Chevalerie" e-o dalla Accademia di Studi sugli Ordini Cavallereschi (presente anche su Facebook).

Chiunque avesse domande e-o dubbi sulla legittimità di titoli ed ordini, può rivolgersi direttamente al Fronte della Tradizione per una consulenza assolutamente gratuita e disinteressata: tradizioneuropea@gmail.com..

martedì 19 luglio 2011

Regno del Lombardo-Veneto



Il Nobile Cav.Dott. DIEGO MARTINO ZOIA ed il Conte Comm.Dott. CORRADO DELLA TORRE ai funerali di S.A.I.R.A. il Principe ed Arciduca OTTO d'ASBURGO.



lunedì 18 luglio 2011

I funerali di Otto d'Asburgo


http://www.youtube.com/watch?v=EHSpVSsQNAA&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=-NVs8o9F76o&feature=youtu.be

http://www.youtube.com/watch?v=2TLXKlksDAw&feature=youtu.be

http://www.youtube.com/watch?v=slcJRqox1gI&feature=youtu.be

http://www.youtube.com/watch?v=0A21D7zp1Vk&feature=youtu.be

http://www.youtube.com/watch?v=suet_zTWybs&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=X6UkjkyJbEo&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=Lg0BSpHEmPI&feature=related

Ai solenni funerali erano rappresentati tutti i popoli del Sacro Romano Impero Germanico e della Mitteleuropa, i Cavalieri del Sovrano Militare Ordine di Malta, dell'Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dell'Ordine Teurtonico e dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, la Guardia Imperiale, gli Shutzen del fedelissimo Tirolo ed i Walser della Alpi, le delegazioni del Circolo del Regno Lombardo Veneto (guidata dal suo presidente Nob.Cav.Dott. Diego Zoia), del movimento PanEuropa e della Walser Uradel Kulturverein (guidata dal suo presidente Barone Dott. Prof. Bolko von Oetinger). In rappresentanza della aristocrazia italiana erano presenti la Contessa Elena Manzoni di Chiosca e Poggiolo ed il Conte Corrado della Torre.

Info: http://www.lombardoveneto.eu/

martedì 12 luglio 2011

Milano: il "Fronte della Tradizione" rende Onore ad Otto d'Asburgo



Ieri, a Milano, nella antica Chiesa di San Sigismondo, con una Santa Messa tradizionale in latino, il "Fronte della Tradizione" ha ricordato ed onorato Sua Altezza Imperial-Regia Apostolica l'ArciDuca Otto d'Asburgo Lorena.

Erano presenti (riconoscibili nella foto, da sinistra): Cav. SAVERIO GRANCAGNOLO (Presidente del Circolo Reale Carlo Alberto), il Nob.Cav.Dott. ROBERTO JONGHI LAVARINI von Urnavas (Delegato per l'Italia della Walser Uradel Kulturverein), l'On. MARIO BORGHEZIO (Eurodeputato della Lega Nord e Presidente della Fondazione Europa dei Popoli), l'Avv. BENEDETTO TUSA (Presidente di PanEuropa Italia e del Circolo La Rocca), il Nob.Cav.Dott. DIEGO MARTINO ZOIA (Presidente della Fondazione Cajetanus e del Circolo del Regno Lombardo-Veneto, organizzatore dell'evento), ATTILIO CARELLI (Dirigente Nazionale e Segretario Regionale della Fiamma Tricolore della Lombardia), il Nob. Cav. di Gran Croce SANDRO PIERATO (Membro della Consulta dei Senatori del Regno, in rappresentanza ufficiale degli Ordini Dinastici di Casa Savoia), il Nob.Cav. LUIGI MASTROIANNI (Delegato Regionale della Lombardia dell'istituto Nazionale per la Guardi d'Onore al Pantheon).

Presenti alla cerimonia (ma non nella foto) anche: MASSIMILIANO BASTONI (Consigliere Comunale della Lega Nord di Milano), i Conti GIUSEPPE ed ELENA MANZONI di Chiosca e Poggiolo, il Marchese ENRICO GIULIANO di Sant'Andrea, il Nob.Cav. ANDREA BOEZIO BERTINOTTI ALLIATA, il Cav.Dott. FLAVIO NUCCI (in rappresentanza del movimento Destrafuturo del Popolo della Libertà), il Cav.Uff. FEDERICO PIZZI ed il Cav. ALBERTO DI MARIA della Associazione Internazionale Cavalieri deglio Ordini Dinastici di Casa Savoia (AICODS), i giovani gentiluomini FEDERICO SAGRAMOSO e GIOVANNI VISCONTI, l'Arch. LEONARDA PANSERA (nota araldista).

lunedì 11 luglio 2011

Il "Fronte della Tradizione" allo Spazio Ritter di Milano



Venerdì scorso, allo Spazio Ritter di Milano, si è riunito il "Fronte della Tradizione", erano presenti: (nella foto, da sinistra):

- ATTILIO CARELLI
(Dirigente Nazionale e Segretario Regionale della Fiamma Tricolore della Lombardia, storico esponente della destra missina),

- FRANCESCO FILIPPO "Franz" MAROTTA
(Dirigente del Movimento Destrafuturo e del Comitato Destra per Milano, collaboratore della rivista e del Centro Studi Polaris),

- il "Barone Nero" Nob. Cav. Dott. ROBERTO JONGHI LAVARINI Von Urnavas
(Presidente del Comitato Destra per Milano, vice Presidente del Centro Studi Storici e Politici Intenazionali Patria e Libertà, Dirigente del Movimento Destrafuturo, Membro della Società Genealogica Italiana),

- il Nob. Cav. Dott. DIEGO MARTINO ZOIA dei Puschina
(Presidente della Fondazione Cajetanus, Presidente del Circolo del Regno Lombardo-Veneto, Capogruppo della Lega Nord nel Comune di Inveruno, Avvocato del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo),

- il Dott. FRANCESCO "Doppio Malto" CAPPUCCIO
(giornalista e insegante, Presidente del Centro Letterario Ritter, già Portavoce di Cuore Nero e Casa Pound Lombardia),

- il Conte Cav. Gran Croce Dott. Prof. FERNANDO CROCIANI BAGLIONI di Serravalle di Norcia
(Presidente del Centro Studi Patria e Libertà, Presidente del Centro Studi sugli Ordini Cavallereschi, Presidente del Centro Studi Pio IX, Membro del Collegio Araldico di Roma e della Società Genealogica Italiana),

- la Contessa Donna ELENA MANZONI di Chiosca e Poggiolo
(Preside della Confraternita di San Jacopo di Compostela della Lombardia, mamma di "Pippa Bacca" e sorella del maestro artista Piero Manzoni),

- il Comandante ARMANDO SANTORO
(Presidente della Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana di Milano e Dirigente della Associazione Nazionale Arditi d'Italia, già Ardito Volontario nella Legione Autonoma Ettore Muti della RSI),

- il Dott. LUCIANO GARIBALDI
(giornalista, storico e scrittore, esponente della destra monarchica).

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“ Brioches ( e gelato ) al popolo ! “

- L’aristicrazia del terzo millennio -


A termine dell’evento milanese “Brioches al Popolo,”organizzato da Patria e Libertà e Destra per Milano, che ha visto la partecipazione attiva di moltissime personalità del mondo aristocratico e di Destra. L’unicità e la perseveranza in valori mai mitigati, mai dimenticati , determinanti nella condotta e nello stile di vita, hanno come esempio lo stoicismo aristocratico alle soglie del terzo millennio.

Chiude oggi l’incontro aperto al pubblico dal titolo “ Brioches al Popolo”. che ha avuto come protagonista il Conte prof. Fernando Crociati Baglioni, Presidente del Centro Studi Storici Politici Patria e Libertà. Pur non avendo avuto dalla sua una tempistica adeguata per approfondire ogni sfaccettatura riguardante la rilevante tematica, l’Aristocrazia del Terzo Millennio, con rinnovata intensità e passione e’ comunque riuscito ad affrontare l’argomento con notevole capacità di analisi e sintesi. Virtù accentuate dall’ottima scelta come moderatore di Francesco Cappuccio del circolo Letterario Ritter sede dove ha avuto luogo l’evento. La “provocazione Brioches al Popolo” non e’ casuale. Formula semi-seria, pungolo ironico verso quel clima culturale, retrogrado e ideologicamente forviante che caratterizza tutt’ora l’universo di sinistra. Il prof. Crociani , nell’esposizione dettagliata delle problematiche inerenti ad una conformità di idee ed intenti in tal senso, ha espresso la propria totale fiducia nel comune impegno contro ogni sorta di scontro politico d’antan. Crociani Baglioni e’ più volte intervenuto a sollecitare con fermezza la cultura come stile di vita del proprio tempo, scevra da ogni forma di dietrologia allarmante. Una concettualità che con face alle nuove e alle vecchie generazioni aristocratiche: interfaccia meta-fisico, meta-storico, identitario e funzionale all’operosità degli uomini della Tradizione sempre più orientati all’unico bipolarismo politico-istituzionale. Fra una brioches al gelato e un bicchiere di sangria non e’ certo venuta a mancare la fluidità del dialogo, favorito dall’ottima intesa tra relatore e moderatore. Spaziando dalle argomentazioni di carattere nazionale ed internazionale, accentuando il rapporto con le vecchie aristocrazie islamiche in merito all’attuale situazione del mondo arabo, rammentandone l’importanza, il nostro antico essere mediterranei, europei, dal forte richiamo organizzativo e di identità. Sia Crociani Baglioni, sia Cappuccio, hanno messo in risalto l’unicità del concetto aristocratico evoliano, attribuendone tutte quelle peculiarità dello stato, passate e presenti, fondanti della democrazia organica. Coscienza dell’unità d’Italia nel suo 150esimo anniversario; disquisendo sulla correlazione tra le due diversificate monarchie Savoia e Borbone. Quest’ultima, dalla volontà , oggettivamente, poco incline allo sforzo congiunto per costruire l’Italia Unita. Valore dell’aristocrazia per eccellenza, accentuato dall’eroismo, a cavallo delle due guerre mondiali, esempio di immensa prova epica di appartenenza italica. Molteplici gli interventi di personalità di spicco del mondo accademico, nobiliare, politico e giovanile. Testimonianza di valori mai sopiti, capaci di indurre sconcerto all’interno delle multiformi realtà di “sinistra memoria.” Il maggior elemento identificativo viene dalla rivolta di Plaza del Sol a Madrid contro il governo Zapatero. Tumulto di popolo contro l’ambiguo governo spagnolo, testimonianza del sacrificio contro le difficoltà della vita alimentate da quest’ultimo, della scesa in piazza della vera Destra spagnola al fianco di chi pur non avendo, etimologicamente nessuna vicinanza al percorso aristocratico e di destra, pur di riaffermare la legalità dell’essere in primis spagnoli, destandosi dall’inadeguatezza e decadenza della classe politica spagnola. Infine, e’ stato osservato un minuto di silenzio in ricordo e alla memoria di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica Ottone D’Asburgo, figlio dell’ultimo Imperatore d’Austria - Ungheria Carlo I. La commozione ha lasciato il passo alla fierezza, alla coscienza, distinta, corale, dell’eredità e dell’insegnamento del compianto Otto d’Asburgo.

Ringraziamo tutti i presenti intervenuti alla magnifica serata. Certi di aver fatto comprendere tutti quei valori che fanno parte della nostra vita. Certi di aver fatto conoscere anche se in minima parte e ci auguriamo in futuro in maniera più approfondita, una significativa pagina di storia e cultura millenaria europea.

Resoconto a cura di Francesco Filippo Marotta.

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Prima considerazione inattuale: recuperare il giusto concetto di "aristocrazia"
di Francesco Lamendola

La parola greca aristokratía non significa, come alcuni pensano, "governo dei nobili" (in senso ereditario), bensì, semplicemente, "governo dei migliori": deriva, infatti, dal sostantivo áristos, "il migliore", e dal verbo kratéo, "io domino". Per gli antichi, a cominciare da Platone, l'idea che la società dovesse essere governata dalle persone migliori era talmente ovvia, da non meritare neppure una particolare spiegazione. Ma poi, con la Rivoluzione francese, la parola "aristocrazia" è diventata impronunciabile e, ancora oggi, suona poco meno che come una parolaccia. Se vi vuole evidenziare l'atteggiamento antipatico, pretenzioso e sforzatamente ricercato di qualcuno, gli si affibbia l'epiteto di "aristocratico", e quello può considerarsi marchiato a fuoco per sempre.

Eppure, se andiamo a consultare un vocabolario della lingua italiana - per esempio, lo Zingarelli - non tardiamo ad accorgerci che esiste almeno un significato della parola "aristocrazia", che non è né quello di designare il governo esercitato da un particolare ceto, né, tanto meno, quello di designare la classe dei nobili in quanto tale; ma che indica, semplicemente, "il complesso delle persone meglio qualificate per svolgere una determinata attività".

Altro che parolaccia: questo è puro buon senso. Eppure ci siamo allontanati da ciò che è evidente, abbiamo smarrito il buon senso, rincorrendo affannosamente parole d'ordine populiste e demagogiche: e il risultato è stato una aristocrazia alla rovescia, una prevalenza dei peggiori, ossia dei più incompetenti, fannulloni e presuntuosi.

Predicando un egualitarismo irresponsabile e cialtrone, abbiamo scatenato gli istinti peggiori insiti nella natura umana: l'invidia verso chi è migliore, il rancore contro chi vale di più, l'odio per ciò che emerge in virtù dei propri giusti meriti. C'è stato, e prosegue tuttora, un linciaggio morale delle persone di valore: linciaggio che incomincia fin dai banchi di scuola, ove lo studente più intelligente e volonteroso è etichettato come "sgobbone", "secchione" e via dicendo, e additato al disprezzo dei compagni.

Pervasa da un sinistro, demoniaco bisogno di irridere il bene e pascersi dello spettacolo offerto dal male, la società moderna ha scoperto che scandalizzare il prossimo è una bella cosa e che, per riuscirci, la strada più sicura da battere è quella di una esaltazione sistematica delle qualità umane peggiori e una denigrazione, altrettanto sistematica, delle migliori (cfr. il nostro precedente articolo Dobbiamo reimparare a indignarci davanti ai seminatori di scandali, sempre sul sito di Arianna Editrice).

Siamo arrivati, così, all'assurdo che non solo i peggiori occupano posti di responsabilità, mentre i migliori, spesso, vengono misconosciuti ed emarginati; ma, addirittura, che tale pratica distruttiva viene eretta al valore di principio e di norma, ed è proclamata ai quattro venti come il nuovo Vangelo della modernità.

Ciò che ha reso intollerabile, storicamente, il predominio dell'aristocrazia come classe sociale, è stata la sua evidente inadeguatezza a svolgere il proprio compito di classe dirigente: non a caso Foscolo, nel carme Dei sepolcri, descrive i nobili del suo tempo come dei morti viventi, preoccupati solo di soddisfare le proprie mollezze. Ma una aristocrazia dello spirito, una aristocrazia delle responsabilità e delle competenze, è necessaria a qualunque società voglia conservare un certo grado di ordine e di efficienza e, soprattutto, di tensione spirituale e di rispetto per se stessa. Una società come la nostra, dove anche di fronte ai fallimenti più clamorosi non si trova mai qualcuno disposto ad assumersi le proprie responsabilità; una società dove i Bassolino se ne vanno solo se la magistratura li mette sotto inchiesta, e non perché le montagne di spazzatura inevasa stiano lì a testimoniare la gestione disastrosa della cosa pubblica, è una società priva di ogni dignità e basata su una aristocrazia alla rovescia, su un "governo dei peggiori".

Sostiene Platone nel primo libro de La Repubblica (traduzione di Francesco Gabrieli, Firenze, Sansoni Editore, 1950; 1990, pp. 29-30):


""Dunque, o Trasimaco, non è ormai chiaro che nessun'arte o governo procura ciò che è utile a sé, , ma, come dicevamo da un pezzo, procura e prescrive l'utile dei sottoposti, cercando quindi il vantaggio di chi è inferiore e non di chi è superiore. Appunto per questo, caro Trasimaco, io ho detto poco fa che nessuno volontariamente governa e si pone a raddrizzare gli affari degli altri, ma richiede una mercede, per il fatto che chi si propone di ben esercitare la sua arte, non fa mai né prescrive il suo meglio, quando prescrive secondo l'arte, ma quello del sottoposto. Per questa ragione, come pare, coloro che accondiscendono a governare devono avere una mercede, o ricchezze o onori, o una pena se non governano".

""Che cosa intendi dire, o Socrate?- domandò Glaucone. - Perché quelle due rimunerazioni le conosco, ma non comprendo invece la pena che dici e di cui parli come fungesse da mercede".

""Non comprendi allora, dissi, la ricompensa dei migliori, per cui i più valenti governano quando consentono a governare. Non sai dunque che l'amore degli onori e della ricchezza sono ritenuti e sono effettivamente biasimevoli?"

""Certo",disse.

""Perciò allora né per ricchezze né per onori i buoni vogliono governare: infatti non vogliono né apertamente richiedere una mercede per la loro attività, perché non li dicano mercenari, e neppure prenderla essi stessi di nascosto, giovandosi della carica, perché non li diano ladri; e neppure, ancora, si lasceranno allettare dagli onori, perché non ne sono cupidi. Bisogna allora che essi, se accettano di governare, si prospettino una necessità e una pena: per cui l'andar al governo volontariamente e non sottostare a una necessità rischia di esser giudicata una cosa turpe. Ora, massima pena, se uno non voglia governare lui stesso, è l'esser governato da uno moralmente da uno inferiore: per questo timore mi pare che governi, quando governa, la gente di qualità, e allora va al potere considerandolo non cosa buona o in cui possa trovar vantaggi, ma come una necessità, e non potendo affidarlo a dei migliori o uguali. Per cui, se esistesse una città di persone valenti, c'è rischio che in essa si gareggi per non governare, come attualmente si gareggia per governare: e così si può veder chiaramente che un capo vero e genuino non è fatto per cercare il proprio utile, bensì quello dei governati. Di modo che chiunque si rendesse conto di questo preferirebbe ricevere utilità da altri piuttosto che ave seccature procurandola ad altri. Che dunque il giusto sia l'utile di chi è superiore, io non lo concedo in nessun modo a Trasimaco".
Dal brano di Platone emerge chiaramente il concetto che assumersi la responsabilità di svolgere una funzione dirigente è non tanto un diritto, ma un dovere morale cui i migliori non possono sottrarsi, pena il fatto di lasciare se stessi, e l'intera società, in balia dei peggiori. I migliori, cioè, non desiderano affatto il potere per i vantaggi che potrebbero trarne, ma esclusivamente per i vantaggi che essi possono procurare agli altri; così come il bravo medico non esercita la medicina per giovare a se steso, ma per giovare ai malati che sono affidati alle sue cure.

Ora, lo stesso tipo di ragionamento si può estendere dalla sfera della politica a quello di qualsiasi altra attività umana. In ogni attività umana, infatti, vi sono due modi di procedere: quello di chi, essendo competente, persegue il bene degli altri, ai quali tale attività è diretta; e quello di coloro che, essendo incompetenti, ma avidi e ambiziosi, sfruttano le posizioni occupate per cercare il massimo del profitto egoistico, infischiandosene bellamente del bene comune. E ciò vale non solamente per quanti occupano posti direttivi - sebbene, in tali casi, gli effetti negativi siano più evidenti e più dannosi -, ma in genere per tutti coloro che vivono in società e che esercitano una attività qualsiasi o una funzione qualsiasi: a partire dalla micro-società fondamentale, sulla quale si regge l'intera comunità, che è la famiglia.

Esercitare male la propria attività e la propria funzione, nel lavoro così come nella vita privata, significa dare continuamente scandalo, nel senso di dare continuamente un cattivo esempio, specialmente ai bambini e ai giovani. Ad esempio, sfruttare delle leggi - forse un po' troppo preoccupate di difendere a ogni costo i posti di lavoro e troppo poco interessate a difendere il bene comune -, per simulare malattie inesistenti o per poltrire, invece di svolgere degnamente i propri compiti, per i quali si riceve un salario o uno stipendio, significa danneggiare doppiamente la società: sprecando risorse materiali e dando un pessimo esempio sul piano morale.

Ecco allora che l'invito rivolto da Platone ai migliori, perché escano dal proprio comodo quieto vivere e si facciano carico di assumersi responsabilità pubbliche, appare per quello che effettivamente è: un sacrosanto incitamento a promuovere la parte altruista, seria e onesta della natura umana, affinché non prevalgano le tendenze peggiori: la pigrizia, l'egoismo, la superficialità, la furberia da quattro soldi.

Ma, si obietterà, chi sarà in grado di stabilire chi siano i migliori, perché essi possano svolgere, nella società quel ruolo utile e necessario, dal quale dipende, necessariamente, il suo buon funzionamento?

È certo una domanda legittima; ma, troppo spesso, viene strumentalizzata in mala fede, al fine di insinuare il dubbio che, non essendovi alcun criterio oggettivo di selezione dei migliori, ne consegue che il male minore, per la società, è quello di lasciare che "le cose vadano per il loro verso", ossia che si affermi chi vuole e chi può: anche se costui non possiede affatto i requisiti per aspirare ad un posto di responsabilità e se è mosso non dal senso del bene pubblico, ma dalla prospettiva di vantaggi personali.

In fondo, pensano i paladini un democraticismo e di un egualitarismo astratto e velleitario, è meglio che la società sia condotta dai mediocri, piuttosto che cada nelle mani di qualcuno che, con la scusa di essere "il migliore", aspiri al potere per creare una sorta di dittatura del merito. Poveri sciocchi, che non vedono come questa filosofia ha già consegnato la società in mano a una dittatura: la dittatura dei peggiori: dei più incompetenti, dei più cialtroni, dei più meschini. Ovunque, infatti, si assiste allo stesso meccanismo in azione, il meccanismo dell'invidia e del rancore: quando il sottotenente tormenta i soldati semplici per la stizza di non essere capitano; quando il professore fa la fronda contro il preside, perché vorrebbe essere al suo posto; quando il giornalista s'incattivisce contro tutti, perché ritiene di essere stato defraudato del posto di direttore del giornale, che, a suo parere, gli spettava; e via dicendo. E gli effetti di questa spirale perversa e distruttiva sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti.

Ovunque, chi occupa un posto inferiore odia chi sta al di sopra di lui e ne boicotta il lavoro, non perché ritiene che lo stia svolgendo male, ma perché gli brucia dovergli riconoscere una preminenza. Chi è inadempiente, lavativo e inefficiente, mobilita avvocati e sindacati per ripristinare i suoi "presunti" diritti, violati dalla sentenza iniqua, a suo dire, di qualche tribunale del lavoro; il dipendente pubblico, licenziato perché rubava il denaro degli utenti, mette a rumore mezzo mondo per farsi riassumere in servizio e pretende le scuse dell'amministrazione; il maestro o il professore pedofilo esige di rientrare in servizio con tutti gli onori e i risarcimenti del caso, oppure, in alternativa, che lo si mandi in pensione dopo averlo promosso; e così via. Di questo passo, non è certo motivo di meraviglia che tutto il meccanismo sociale risulti sempre più inceppato e screditato, sempre più deficitario, sempre più fallimentare. Gli onesti ed i seri devono fare buon viso, ogni giorno, alla incredibile sfrontatezza dei disonesti e dei manigoldi: e le leggi sembrano fatte apposta per tutelare i secondi, non certo i primi.

Non vogliamo, tuttavia, eludere la domanda circa il criterio con cui si dovrebbe stabilire quali siano i "migliori".

Precisiamo subito, intanto, che il concetto di "migliore" istituisce un comparativo di maggioranza: si è migliori rispetto a qualcun altro; non si è perfetti in assoluto.

Ciò premesso, ci sembra che i risultati dovrebbero parlare da soli, se noi avessimo ancora occhi capaci di vedere e orecchi capaci di udire. Chi svolge bene il proprio ruolo, grande o piccolo che sia, non passa inosservato; e così pure chi lo svolge male: a patto che la società non sia talmente traviata dai cattivi esempi e talmente frastornata da una demagogia chiassosa e triviale, da aver smarrito anche il grado più elementare di buon senso.

A volte, purtroppo, verrebbe da pensarlo.

Che altro bisogna pensare, ad esempio, davanti allo sconcio e drammatico spettacolo di migliaia di tonnellate di spazzatura, rimasta inevasa per anni ed anni nelle città e nei paesi della Campania, mentre però si assiste alla rielezione di quegli stessi amministratori e uomini politici che portano la responsabilità di una tale indecenza e che, fra parentesi, sono pagati profumatamente per prendere le decisioni utili e necessarie al pubblico bene?

E tuttavia, noi abbiamo sempre l'obbligo dell'ottimismo della volontà, per quanto la ragione ci inclinerebbe a un pessimismo radicale. A nulla giova, infatti, compiacersi del fatto che ogni cosa vada di male in peggio. È più utile un solo individuo il quale, nel suo piccolo ambito di vita e di lavoro, cerca di assolvere con amore, con scrupolo e passione ai propri doveri, che mille profeti di sventura, i quali null'altro sanno fare se non distribuire a piene mani, dall'altro della loro sterile "saggezza", un fatalismo che paralizza e scoraggia ogni slancio generoso, ogni desiderio di bene, e lascia le cose esattamente come stanno.

Non di simili intellettuali, imbelli e parolai, abbiamo bisogno; ma di persone umili e forti, pazienti e coraggiose al tempo stesso: che sappiano armarsi di una forza e di un coraggio che le assista, giorno per giorno, nelle piccole battaglie della vita, e, dal cui esito dipende la qualità dell'intero corpo sociale.

In altre parole, abbiamo bisogno di schiere sempre più numerose di persone serie e bene intenzionate: di aristocratici, appunto, nel senso etimologico della parola, che spargano intorno a sé il doppio beneficio della competenza e del buon esempio.


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Prima considerazione inattuale: recuperare il giusto concetto di "aristocrazia"
di Francesco Lamendola
fonte Arianna Editrice
inserito negli archivi di juliusevola.it il 20/05/2008
stampato dal sito www.juliusevola.it il 11/07/2011

giovedì 7 luglio 2011

"Plebaglia contro Aristocrazia"





Il nucleo nero dell'aristocrazia milanese
Tra messe cantate e brioches
Redazione - Osservatorio Democratico - 06/07/2011

Nell'estrema destra milanese, dopo la sconfitta elettorale, c'è chi è sparito (La Destra di Storace, fra insulti, risse e denunce, con l'uscita anche di tutto il gruppo giovanile, guidato da Carlo Lasi), chi apre nuove sedi (la Fiamma tricolore in via Morosini), chi riflette addebitando il naufragio al cardinal Tettamanzi (questo il commento di Guido Giraudo), chi pensa che la campagna elettorale in realtà non sia ancora finita (ci riferiamo a Fare occidente e alla famiglia La Russa, autori ancora domenica 12 giugno di un patetico volantinaggio alla chiesa di San Giuseppe Calasanzio contro centri sociali, rom e islamici), e chi continua come se nulla fosse accaduto (Forza nuova). C'è invece chi rilancia. È il caso del nucleo nero dell'aristocrazia milanese. Basta scorrere alcuni recenti appuntamenti.
Il 16 giugno scorso, in occasione del “152° anniversario della trionfale entrata in città di Sua Maestà Re Vittorio Emanuele II”, si è tenuta una santa Messa nella Chiesa di San Marco, presenti un lungo elenco di nobili, di cui tralasciamo volentieri nomi e titoli, anche per non cadere nel ridicolo. In prima fila a pavoneggiarsi: “il Cav. di Gran Croce Dr. Stefano Di Martino”, ispettore nazionale delle “Guardie d'Onore al Reale Pantheon”, e il “Nob. Cav. Dott. Roberto Jonghi Lavarini dei Baroni di Urnavas”. Due nostre vecchie conoscenze. Il primo si è ora trasferito, dopo essere stato escluso dalle liste del Pdl, nel suo “eremo” di via Montenapoleone 27 (ospite dell'avvocato Rezzonico, ex ufficiale dei carabinieri), deciso comunque a “rimanere a disposizione della Città e della Patria”, ma soprattutto “dell'Expo 2015”, da lui stesso definita in una lettera aperta (non si sa bene a chi), una “grande carta” in grado di “portare ricchezza e benessere”. Il secondo, “dopo una rilettura critica di alcuni testi di Platone, De Maistre, Degrelle, Junio Valerio Borgese ed Evola”, ha invece dichiarato (intervista a Gianni Spina del giugno scorso) di aver riscoperto la propria fedeltà “alla Corona”, ma anche “ai principi” dell'“aristocrazia e dell'impero”, nientemeno.
Ora, dopo la morte, nei giorni scorsi, di “Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica il Principe Ottone d'Asburgo Lorena, Arciduca d'Austria e Re del Lombardo Veneto (1912-2011)”, avvenuta alla tenera età di 98 anni nella sua residenza in Baviera, si vive un momento di lutto. A fare da collettore delle condoglianze di chi si dichiara ancora fedele “al Sacro Romano Impero” è il Circolo del Regno Lombardo Veneto, presieduto dal nobile cavaliere Diego Zoia dei Puschina, capogruppo per la Lega nord a Inveruno, fedelissimo di Mario Borghezio. Nello stesso circolo anche la contessa Pinina Garavaglia (attempata discotecara miliardaria, specializzata in organizzazione di feste) e il conte Corrado della Torre, già consigliere regionale nel 1990 in Lombardia, sempre per la Lega, e ora a capo di un non meglio identificato ordine templare a Bergamo e Brescia.
L'ultima notizia, su questo fronte, riguarda il conte Fernando Crociani Baglioni, presidente del centro studi Patria e Libertà, atteso l'8 luglio al Circolo letterario Ritter di via Maiocchi 28 a Milano, per sottoporsi a un'intervista del “Dott. Francesco Cappuccio” (!), dal titolo “Brioches (e gelato) al popolo! L'aristocrazia del terzo millennio”, dalla frase attribuita alla regina Maria Antonietta come risposta alle rimostranze del popolo francese affamato. Ben venga l'ironia, ricordando per parte nostra come Maria Antonietta avesse in vita sofferto di una fastidiosa artrosi cervicale, cui pose rimedio, il 16 ottobre 1793, a Parigi, in Place du Carrousel, la ghigliottina.

http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=3134&Class_ID=1004

Milano: Santa Messa per Otto d'Asburgo

mercoledì 6 luglio 2011

Milano: Santa Messa per Otto d'Asburgo



La Fondazione Cajetanus e il Circolo del Regno Lombardo Veneto annunziano la celebrazione di una Santa Messa a suffragio di

Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica OTTONE D’ASBURGO de Jure Imperatore d’Austria, Re Apostolico d’Ungheria, Re del Lombardo Veneto, ecc.

già Deputato al Parlamento Europeo e Presidente Onorario di Paneuropa

La celebrazione si terrà Lunedì 11 Luglio 2011 alle ore 17.30 in Milano, presso la Chiesa di San Sigismondo (aggregata alla Perinsigne Imperiale Basilica di Sant’Ambrogio).

Per informazioni: info@lombardoveneto.eu - http://www.lombardoveneto.eu/


N.B.:

1. Enti e Associazioni che intendessero intervenire ufficialmente alla cerimonia, sono pregati di contattare il Presidente della Fondazione, Nob. Cav. Dott. Diego Zoia (3389614714 dalle 15.00 alle 19.00);

2. In occasione della cerimonia sarà possibile sottoscrivere un Registro di Condoglianze che verrà inviato alla Famiglia Imperiale; è possibile sottoscrivere in modo virtuale il registro inviando una mail a: info@lombardoveneto.eu con l’oggetto: condoglianze, e indicando Nome e Cognome e luogo di residenza per esteso.

Tradizione, Onore e Fedeltà




NECROLOGIO e CONDOGLIANZE per la morte di

Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica il Principe Ottone d’Asburgo Lorena, Arciduca d’Austria e Re del Lombardo Veneto (1912-2011).

Hanno già aderito diverse famiglie, storicamente, culturalmente e spiritualmente Fedeli alla Tradizione ed al Sacro Romano Impero



I Principi Acedo Fernadez Pereira di Candia,

i Principi Alliata di Monreale e Villafranca,

i Principi Comneno d'Otranto di Bisanzio,

i Principi Feo Filangeri di Cutò,

i Principi Giovannelli Marconi,

i Duchi Lupis Macedonio Palermo di Santa Margherita e San Donato,

i Marchesi Cusano di Chignolo,

i Marchesi Ghetaldi Gondola,

i Marchesi Lalatta di Costerbosa,

i Conti Boezio Bertinotti Alliata,

i Conti Crociani Baglioni di Serravalle di Norcia,

i Conti Della Torre,

i Conti De Puppi di Cividale,

i Conti Foscari Wideman Rezzonico,

i Conti Ganassini di Camerati,

i Conti von Haitzendorf,

i Conti Luraschi Cernuschi di Calvezano,

i Conti Manzoni di Chiosca e Poggiolo,

i Conti Modulo Morosini di Risicalla e Sant'Anna,

i Conti Moneta Caglio de Suvich,

i Conti Romei Longhena,

i Conti Ubaldi de Capei,

i Conti von Walburg,

i Baroni Aufschnaiter von Mandell,

i Baroni Beck Peccoz,

i Baroni Cassinelli Lavezzo,

i Baroni Cucco Marino Protopapa,

i Baroni De Cles,

i Baroni Jonghi Lavarini von Urnavas,

i Baroni Pellicanò Barletta,

i Baroni Salvadori von Wiesenhof,

i Baroni freiherr von Taucnitz,

i Baroni Teuffenbach,

i Baroni Tripcovich Holenmaier de Banfield,

i Baroni freiher von Wangenheim,

i Patrizi Veneti Alverà,

i Patrizi Veneti Panciema di Zoppola,

i Nobili Aliprandi,

i Nobili Ampollo di Rella,

i Nobili Herstellung von Druck,

i Nobili Berger de Perseval,

i Nobili von Block,

i Nobili Bresolini d'Ebenstein,

i Nobili Brambilla di Carpiano,

i Nobili Castagna de Giustiniani,

i Nobili Claricini von Dornpacher,

i Nobili Dolenc von Bubnoff,

i Nobili Lago Suardi,

i Nobili Lutterotti von Theres,

i Nobili Polani Beligeri,

i Nobili Puccinelli,

i Nobili Rosales Ordonno,

i Nobili Stewart Jamienson,

i Nobili von Trostprugg,

i Nobili Velasco,

i Nobili von Zeitschel,

i Nobili Zoia dei Puschina.



Le condoglianze saranno ufficialmente e personalmente consegnate dal Nob. Dott. Cav. Diego Zoia dei Puschina, Presidente del Circolo del Regno Lombardo – Veneto, agli eredi e rappresentanti della Famiglia Imperiale. Una delegazione del circolo parteciperà anche ai solenni funerali che si terranno a Vienna mentre a Milano, lunedì prossimo, 11 luglio, alle ore 17.30, verrà celebrata una Santa Messa di Suffracgio, presso la Chiesa di San Sigismondo.

Adesioni ed informazioni: info@lombardoveneto.eu

martedì 5 luglio 2011

Fedeli al Sacro Romano Impero




NECROLOGIO e CONDOGLIANZE per la morte di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica il Principe Ottone d’Asburgo Lorena, Arciduca d’Austria, Re d’Ungheria, Re del Lombardo Veneto ed Erede-Titolare del Sacro Romano Impero (1912-2011).



Hanno già aderito, culturalmente, storicamente e spiritualmente Fedeli alla Tradizione:

I Principi Comneno d'Otranto di Bisanzio,

i Principi Feo Filangeri di Cutò,

i Duchi Lupis Macedonio Palermo di Santa Margherita e San Donato,

i Marchesi Ghetaldi Gondola,

i Marchesi Lalatta di Costerbosa,

i Conti Boezio Bertinotti Alliata,

i Conti Crociani Baglioni di Serravalle di Norcia,

i Conti Della Torre,

i Conti De Puppi di Cividale,

i Conti Foscari Wideman Rezzonico,

i Conti Ganassini di Camerati,

i Conti Manzoni di Chiosca e Poggiolo,

i Conti Modulo Morosini di Risicalla e Sant'Anna,

i Conti Moneta Caglio de Suvich,

i Conti Romei Longhena,

i Baroni Beck Peccoz,

i Baroni De Cles,

i Baroni Jonghi Lavarini von Urnavas,

i Baroni Salvadori von Wiesenhof,

i Baroni Tripcovich Holenmaier de Banfield,

i Patrizi Veneti Alverà,

i Patrizi Veneti Panciema di Zoppola,

i Nobili Aliprandi,

i Nobili Bresolini d'Ebenstein,

i Nobili Brambilla di Carpiano,

i Nobili Claricini von Dornpacher,

i Nobili Lago Suardi,

i Nobili Polani Beligeri,

i Nobili von Trostprugg,

i Nobili von Zeitschel

e i Nobili Zoia dei Puschina.

Le condoglianze saranno ufficialmente portate agli eredi della Casa Imperiale, dalla Delegazione del Circolo del Regno Lombardo-Veneto, che si recherà ai solenni funerali che si terranno a Vienna.

A Milano, invece, settimana prossima, verrà celebrata un Santa Messa in suffragio, alla quale parteciperanno associazioni tradizionaliste, monarchie e cattoliche ed rappresentanze ufficiali di diversi ordini cavallereschi, fra i quali: il Sovrano Militare Ordine di Malta, l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro ed il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.



Adesioni ed informazioni: info@lombardoveneto.eu

Necrologio e condoglianze per S.A.I.R.A. OTTO d'ASBURGO


NECROLOGIO e CONDOGLIANZE per la morte di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica il Principe Ottone d’Asburgo Lorena, Arciduca d’Austria, Re d’Ungheria, Re del Lombardo Veneto ed Erede-Titolare del Sacro Romano Impero (1912-2011).
Hanno aderito:
I Principi Comneno d'Otranto, i Marchesi Ghetaldi Gondola, i Marchesi Lalatta di Costerbosa, i Marchesi Lupis Macedonio Palermo di Santa Margherita e San Donato, i Conti Bertinotti Alliata, i Conti Crociani Baglioni, i Conti Foscari Wideman Rezzonico, i Conti Ganassini di Camerati, i Conti Manzoni di Chiosca e Poggiolo, i Conti Modulo Morosini di Risicalla e Sant'Anna, i Conti Moneta Caglio de Suvich, i Conti Romei Longhena, i Baroni Jonghi Lavarini von Urnavas, i Baroni Salvadori von Wiesenhof, i Baroni Tripcovich Holenmaier de Banfield, i Patrizi Veneti Alverà, i Nobili Claricini von Dornpacher, i Nobili Polani Beligeri, i Nobili Brambilla di Carpiano, i Nobili Bresolini d'Ebenstein, i Nobili Zoia dei Puschina, ecc…
Le condoglianze saranno ufficialmente portate agli eredi della Casa Imperiale, dalla Delegazione del Circolo del Regno Lombardo-Veneto, che si recherà ai solenni funerali che si terranno a Vienna.
Adesioni ed informazioni: info@lombardoveneto.eu

S.A.I.R.A. OTTO d'ASBURGO



L'Aristocrazia Europea piange, ricorda ed onora il suo carissimo Imperatore, morto ieri, a 98 anni, in Baviera:

Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica
OTTONE ASBUGO-LORENA
Erede Titolare del Sacro Romano Impero

(1912-2011)

Imperatore Titolare d'Austria
Re Apostolico d'Ungheria,
Re di Boemia, Dalmazia, Croazia e Slavonia, Galizia, Lodomeria, e Illiria
Re del Lombardo-Veneto
Re di Gerusalemme etc.
Arciduca d'Austria
Granduca di Toscana e di Cracovia
Duca di Lorena e di Salisburgo, di Stiria, di Carinzia, di Carniola, di Bucovina
Gran Principe di Transilvania
Marchese di Moravia
Duca della Bassa e Alta Slesia, di Modena, Parma, Piacenza e Guastalla, di Auschwitz e Zator, di Teschen, del Friuli, di Ragusa e Zara
Conte di Asburgo e Tirolo, di Kyburg, Gorizia e Gradisca
Principe di Trento e Bressanone
Marchese della Bassa e Alta Lusazia e Istria
Conte di Hohenems, Feldkirch, Bregenz, Sonnenberg, etc.
Signore di Trieste, di Cattaro e della Marca vindica
Granduca di Voivodina


martedì 14 giugno 2011

L'infame canaglia rossa contro il "Barone Nero"

Nuovo importante riconoscimento per il Conte Fernando Crociani Baglioni



La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ha insignito i militari delle Forze Armate Italiane (Esercito, Marina, Aeronautica, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza), gli agenti delle Forze dell’ordine (Polizia di Stato, Corpo Forestale dello Stato, Polizia Penitenziaria, Vigili del Fuoco), e i Volontari di primo soccorso, militari, medici, infermieri, psicologi e paramedici, dei Corpi (Croce Rossa Italiana, Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta, Enti ed associazioni combattentistiche e d’Arma, e Misericordie di primo soccorso; che si distinsero nei servizi di soccorso, e assistenza sanitaria e umanitaria, ai terremotati d’Abruzzo, nel periodo dell’emergenza, anno 2009, di una speciale “Medaglia di Pubblica Benemerenza della Protezione Civile”.

L’ onorificenza della Repubblica va a ricompensare moralmente chi servì il prossimo, salvò i sepolti vivi, i feriti, ammalati e mutilati, e prestò assistenza alle popolazioni, preda del pànico, colpite, angosciate, atterrite e senza tetto, esposte alle intemperie ed ogni disagio e sofferenza pur ricoverata negli ospedali, nei campi, nelle caserme, o nelle tendopoli prontamente allestite, nei tempi durissimi dell’emergenza, a l’Aquila e nei centri dell’Aquilano spianati dal terremoto.

La decorazione di Pubblica Benemerenza per la Protezione Civile va oggi degnamente a testimoniare il sacrificio profuso, onde resti di esempio e mònito alle giovani generazioni e a quelle avvenire; costituendo il giusto premio della Patria ai Soldati d’Italia e ai Volontari.

Siamo lieti di render noto che il Conte Cav.Gr.Cr. Prof. Fernando Giulio Crociani Baglioni, Presidente del Centro Studi Storici e Politici Internazionali Patria e Libertà, Cavaliere di Grazia e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, Volontario dell’Associazione Nazionale Alpini, quale Volontario dell’ACISMOM – CISOM, sia stato insignito di tanto ambìta Decorazione, pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

lunedì 13 giugno 2011

Significato e funzione della Monarchia



Significato e funzione della monarchia
di Julius Evola

(Saggio contenuto in: "La monarchia nello Stato moderno" di Karl Loewenstein, G. Volpe ed. - Roma, 1969)

..Il saggio di K. Loewenstein ha offerto al lettore una visione d'insieme delle varie forme della monarchia e delle possibilità che, secondo questo autore, restano ad un regime monarchico nell'epoca attuale. La monarchia, come si è visto, qui non è presa nel senso letterale del termine (governo di un solo, potere concentrato in un solo uomo) ma, giustamente, nel suo senso tradizionale e più corrente, ossia con riferimento ad un Re.
...Le conclusioni del Loewenstein sono piuttosto pessimistiche. Per poter esistere ai nostri giorni, la monarchia dovrebbe rassegnarsi ad essere un'ombra di ciò che era già stata. Essa potrebbe venire concepita solamente in un quadro democratico e, propriamente, nella forma di una monarchia costituzionale parlamentare. A parte l'Inghilterra, che costituirebbe un caso a sé, il modello offerto dalle monarchie dei piccoli Stati dell'Europa settentrionale e occidentale — Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo — è quello che eventualmente si dovrebbe tenere davanti agli occhi.
.. Nell'analisi della portata dei vari argomenti addotti a favore del regime monarchico il Loewenstein ha cercato di essere oggettivo, non riuscendo però sempre ad esserlo. In lui è abbastanza visibile la precisa avversione per ogni principio di vera autorità, mentre un insufficiente rilievo viene dato ai fattori di carattere etico e immateriale. Ora, crediamo che se si fosse costretti a concepire una monarchia solamente nell'accennata forma svuotata e democraticizzata, peraltro possibile unicamente perché si tratta di piccoli Stati marginali, non ancora coinvolti nel dinamismo delle grandi forze dell'epoca, tanto varrebbe chiudere senz'altro in negativo la partita.
..Si deve riconoscere, d'altra parte, che le conclusioni pessimistiche in ordine alla monarchia appaiono in larga misura giustificate ove si ipostatizzi la situazione del mondo attuale e si ritenga che essa sia irreversibile, destinata a protrarsi indefinitamente. Questa situazione è definita da un materialismo generale, della prevalenza di bassi interessi, dall'errore egualitario, dal regime delle masse, dalla tecnocrazia e dalla cosidetta « civiltà dei consumi ». Senonché cominciano a moltiplicarsi i segni di una profonda crisi di questo mondo di un benessere e di un ordine fittizi. Forme varie di rivolta sono già avvertibili, per cui non è escluso che si giunga ad uno stato di tensione e ad un punto di rottura, e che, specie di fronte a possibili situazioni liminali, domani si ridestino forme diverse di sensibilità, si verifichino reazioni simili a quelle di cui è capace un organismo quando è minacciato mortalmente nel suo più profondo essere.
.. Il subentrare, o meno, di questo nuovo clima è l'elemento decisivo anche pel problema della monarchia. Secondo noi, esso dovrebbe venir posto nei seguenti termini: Che significato potrebbe avere la monarchia nel caso che avvenga un simile cambiamento di clima, e in quale forma essa potrebbe costituire un centro per la ricostituzione di un ordine « normale » — normale in un senso superiore? Certo, in una nazione la presenza di una vera monarchia avrebbe un potere rettificatore; ma questo è un circolo vizioso: senza la premessa da noi accennata, ogni restaurazione avrebbe un carattere contingente, non organico e, in un certo senso, innaturale.
.. Il disordine attuale nel campo politico, tutto ciò che esso presenta di instabile, di pericolosamente aperto alla sovversione — a marxismo e a comunismo — deriva sostanzialmente dalla carenza di un superiore principio di autorità e da una insofferenza quasi isterica per un principio del genere, per il che certe esperienze politiche di tempi recenti servono ai più da comodi alibi. Parlando di un superiore principio di autorità, noi ci riferiamo ad una autorità che abbia una effettiva legittimazione e un carattere, in un certo modo, «trascendente», perché senza di ciò l'autorità sarebbe priva di base, sarebbe contingente e revocabile. Un centro veramente stabile mancherebbe.
..È importante fissare chiaramente questo punto essenziale, per differenziare la monarchia, sulla quale qui verte il discorso, dalla monarchia nel senso lato di potere o governo di un solo. In effetti, sono concepibili, e si sono anche realizzate, forme spurie, contraffatte di autorità. Anche i regimi comunisti poggiano di fatto su un autoritarismo che può rivestire le forme più crude e tiranniche quali pur siano le giustificazioni che gli si vorrebbero mendacemente dare. Sulla stessa linea si può mettere il fenomeno dittatoriale se lo si concepisce altrimenti che in relazione a casi di emergenza, come accadde, del resto, in origine, anche nell'antica Roma.
..D'altra parte, l'antitesi, così spesso avanzata, fra dittatura e democrazia è relativa, solo che si esamini il fondo esistenziale di questi due fenomeni politici, fondo che è uno « stato di massa ». Se la dittatura non ha caratteri puramente funzionali e tecnici (un esempio può essere quello offerto attualmente dal regime di Salazar in Portogallo), se essa poggia su un pathos come in alcune forme recenti plebiscitarie e populiste, galvanizzarla è lo stesso elemento attivato da ogni demagogia democratica. Il dittatore fa da cattivo surrogato al monarca con l'appellarsi a forze che cercano confusamente un punto di appoggio, un centro, qualunque esso sia, pur di venir a capo del caos, del disordine, di situazioni divenute insopportabili. Ciò spiega però anche il fenomeno di possibili, bruschi cambiamenti di polarità in sèguito a qualche trauma che ha sospeso la forza coesiva e animatrice del sistema, come quando in un campo magnetico la corrente viene a mancare. Il caso più perspicuo è forse offerto, a tale riguardo, dallo stupefacente cambiamento del clima politico collettivo verificatosi nella Germania attuale, dopo l'entusiasmo quasi frenetico di massa che aveva caratterizzato il precedente periodo dittatoriale. È significativo che invece un analogo fenomeno di inversione non si era prodotto in Germania dopo la prima guerra mondiale, perché l'antecedente non era stato una dittatura bensì una tradizione monarchica.
.. Per la « trascendenza » del principio di autorità proprio ad una regalità, il regime monarchico costituisce l'unica vera antitesi sia a dittatura, sia a democrazia assoluta. In ciò si deve indicare il fondamento del suo superiore diritto. Le varie forme che può rivestire e le idee o i simboli con cui può legittimarsi questa trascendenza a seconda dei tempi, non toccano l'essenziale: l'essenziale è il principio. Ha ragione il Loewenstein quando dice che in un mondo desacralizzato dalle scienze naturali, nel quale la stessa religione è minata, non può più esser quistione di quella mistica della monarchia che in altri tempi si appoggiava a certe concezioni teologiche e a una certa liturgia. Ma se si dà uno sguardo al mondo dei portatori di corona in tutti i tempi e in tutti i luoghi, si può rilevare come motivo comune e costante il riconoscimento della necessità di un centro stabile, di un polo, di qualcosa che per essere veramente stabile deve avere, in un certo modo, il proprio principio in sé stesso o dall'alto, che non deve avere un carattere derivato. A tale riguardo si può scorrere, ad esempio, l'ottima opera di F. Wolff-Windegg, Die Gekrönten. A ragione qualcuno ha scritto: « Una regalità puramente politica — si può affermarlo senz'altro — non è mai esistita ». In tempi non lontani il «per grazia di Dio», la sovranità di diritto divino non implicò, nei sudditi, considerazioni teologiche specifiche; essa valeva, per così dire, in termini esistenziali, corrispondeva appunto al bisogno di un punto superiore di riferimento, punto che viene assolutamente meno quando il re è tale unicamente per « volontà della nazione » o « del popolo ». D'altra parte, solo in quel presupposto potevano svilupparsi, nei sudditi, nel segno del lealismo, quelle disposizioni, quelle forme di comportamento e di costume di un superiore valore etico, di cui diremo fra breve.
..Così non si può condividere il parere del Loewenstein, che l'argomento «ideale» a favore della monarchia sia ormai invalidato. È vero, certo, quel che egli dice, ossia che il declino della monarchia è dovuto non tanto alla democrazia quanto all'avvento delle macchine e degli aerei, dell'automobile, della televisione — si può dire, in genere, della civiltà industriale tecnologica. Ma qui è da domandarsi, appunto, se si è in diritto di ipostatizzare questa civiltà, ci si deve chiedere in che misura l'uomo vuole accordare a tutto ciò un valore diverso da quello di un insieme di semplici, banali mezzi, i quali nella «civiltà dei consumi » lasciano un assoluto vuoto interiore. Ripetiamolo: si tratta anzitutto della «dignità» della monarchia, di un prestigio e di un diritto che sempre e ovunque si trassero da una sfera sovraindividuale e spirituale: investiture sacre, diritto divino, filiazioni e genealogie mistiche o leggendarie, e così via, non sono state che forme figurate per esprimere un fatto sostanziale sempre riconosciuto, ossia che un ordine politico, una unità collettiva veramente organica e vivente si rende possibile solamente ove esistano uno stabile centro e un principio sopraelevato rispetto a qualsiasi interesse particolare e alla dimensione puramente « fisica » della società, principio avente in proprio una corrispondente intangibile e legittima autorità. Pertanto, in via di principio è assolutamente giusto quel che ha scritto Hans Bliiher: « Un re che lascia confermare dal popolo la sua funzione sovrana, ammettendo, con ciò, di essere responsabile di fronte al popolo — invece di essere re­ sponsabile per il popolo dinanzi a Dio — un tale re ha rinunciato alla sua regalità. Nessuna infamia commessa da un re — e Dio sa se essi non ne hanno commesse — distrugge la sanzione mistica oggettiva del sovrano. Ma una elezione democratica la distrugge immediatamente ».
..Se in altri tempi il legame di fedeltà che univa il suddito e il seguace col sovrano poté venire assimilato ad un sacramento — sacramentum fidelitatis —, qualcosa di ciò si è conservato anche più tardi come il fondo abbastanza percepibile di un'etica speciale, dell'etica, appunto, del lealismo e dell'onore, la quale poteva acquistare una particolare forza nel presupposto, or ora indicato, della presenza di un simbolo personalizzato. In tempi normali, il fatto che il sovrano come individuo non fosse sempre all'altezza del principio, poco importava; la sua funzione restava imprescrivibile e intangibile perché non era all'uomo ma al re che si obbediva e la sua persona valeva essenzialmente come un supporto affinché si destassero, o venissero propiziate, quella capacità di dedizione superindividuale, quell'orgoglio nel servire liberamente ed eventualmente perfino quella prontezza al sacrificio (come quando in momenti drammatici tutto un popolo si raccoglieva intorno al suo sovrano) che costituiscono una via di elevazione e di dignificazione per il singolo e, nel contempo, la forza più potente per tener insieme la compagine di un organismo politico e per ridurvi ciò che esso ha di anodino e di disanimato e che nei tempi ultimi ha preso una pericolosa estensione.
..Che tutto ciò non si possa realizzare nella stessa misura in un'altra forma di reggimento politico, è abbastanza evidente. Un presidente di repubblica può essere ossequiato, ma in lui non si potrà mai riconoscere altro che un «funzionario», un « borghese » come un altro, il quale solo estrinsecamente, non in base ad una intrinseca legittimità, è investito di un'autorità temporanea e condizionata. Chi conserva una certa sensibilità sottile percepisce che l'«essere al servizio del proprio re», il « combattere per il proprio re » (perfino il combattere « per la propria patria », malgrado la colorazione romantica, ha in confronto qualcosa di meno nobile, di più naturalistico e collettivistico), il «rappresentare il re» hanno una qualità specifica; tutto ciò presenta invece un carattere parodistico, per non dire grottesco, quando è «al proprio presidente» che ci si dovesse riferire. Soprattutto nel caso dell'esercito, dell'alta burocrazia e della diplomazia (a prescindere dalla nobiltà ), ciò appare ben evidente. Lo stesso giuramento, quando viene prestato non ad un sovrano ma alla repubblica o all'una o all'altra astrazione, ha qualcosa di stonato e di svuotato. Con una repubblica democratica qualcosa di immateriale, ma pur di essenziale e di insostituibile, va fatalmente perduto. L'anodino e il profano prevalgono. Una nazione già monarchica che diviene una repubblica è, in un certo modo, una nazione « declassata ».
.. Se abbiamo rilevato che quella specie di fluido che si forma intorno al simbolo della Corona è assai diverso da quanto può riferirsi a « stati di folla » esaltati, quali può suscitarli o favorirli la demagogia di un capo­popolo, la differenza esiste anche nei riguardi di ogni semplice mistica nazionalistica. Certo, il sovrano incarna anche la nazione, ne simboleggia l'unità su un piano superiore, stabilendo quasi, con essa, una « unità di destino ». Ma qui ci si trova all'opposto di ogni patriottismo giacobino; non si ha nessuno di quei confusi miti collettivizzanti che parlano al puro demos e che vanno quasi a divinificarlo. Si può dire che la monarchia modera, limita e purifica il semplice nazionalismo; che come essa previene ogni dittatura sostituendovisi con vantaggio, così previene anche ogni eccesso nazionalistico; che essa difende un ordine articolato, gerarchico e equilibrato. Si sa che i rivolgimenti più calamitosi dei tempi ultimi sono da attribuirsi essenzialmente a nazionalismi scatenati.
..Dopo quel che abbiamo detto, è evidente che noi non condividiamo affatto l'idea, che ormai la monarchia deve democraticizzarsi, che il monarca debba assumere quasi tratti borghesi — « deve scendere dalle auguste altezze di altri tempi e presentarsi ed agire in modo democratico », come pretende il Loewenstein. Ciò significherebbe semplicemente distruggerne la dignità e la ragion d'essere, indicata in quanto precede. Il re dei paesi nord-europei che si porta la valigia, che va a fare le compere nei negozi, che acconsente che la radio o la televisione presenti al popolo la sua brava vita familiare comprese le bambine che fanno le bizze, ovvero con la Casa Reale che si presta alla curiosità e ai pettegolezzi dei rotocalchi, e quanto altro si pensa possa rendere vicino al popolo il sovrano, includendovi, in fondo, un certo bonario aspetto paterno ( se il padre lo si concepisce in una blanda forma borghese), tutto ciò non può non ledere l'essenza stessa della monarchia. La « maestà » diviene allora davvero un vuoto epiteto del cerimoniale. A ragione è stato detto che « il potente che per un mal inteso senso di popolarità acconsente a lasciarsi avvicinare va a finire male ».
..È chiaro che tener per fermo tutto ciò, significa andare contro corrente. Ma, di nuovo, si pone una alternativa: si tratta di accettare, o meno, come irreversibile uno stato di fatto, sussistendo il quale della monarchia possono solo esistere inani vestigie. Uno degli elementi da considerare, a questo riguardo, è l'insofferenza, nel mondo attuale, per la distanza. Il successo delle dittature e di altre forme politiche spurie è dovuto, in parte, proprio a! fatto che nel capo viene visto « uno di noi », il « Grande Compagno »; solo in questi termini lo si accetta come guida e gli si obbedisce. Così stando le cose la preoccupazione per la «popolarità» e per i modi « democratici » è ben comprensibile. Ma ciò, in fondo, è tutt'altro che naturale; non si vede perché ci si debba subordinare quando il capo, alla fin fine, è semplicemente «uno come noi », quando non viene avvertita una distanza essenziale, come nel caso del vero sovrano. Così un « pathos della distanza » — per usare una espressione di Nietzsche — dovrebbe sostituirsi a quello della vicinanza, in rapporti che escludono ogni superba tracotanza da una parte, ogni servilismo dall'altra. Questo è un punto basilare, a carattere esistenziale, per una restaurazione monarchica. Senza riesumare forme anacronistiche, invece di una propaganda che «umanizzi» il sovrano per accattivare la massa, quasi sulla stessa linea della propaganda elettorale presidenziale americana, si dovrebbe vedere fino a che punto possano avere una azione profonda i tratti di una figura caratterizzata da una certa innata superiorità e dignità, in un quadro adeguato. Una specie di ascesi e di liturgia della potenza qui potrebbero avere una loro parte. Proprio questi tratti mentre rafforzeranno il prestigio di chi incarna un simbolo, dovrebbero poter esercitare sull'uomo non volgare una forza di attrazione, perfino un orgoglio nel suddito. Del resto, anche in tempi abbastanza recenti si è avuto l'esempio dell'imperatore Francesco Giuseppe che, pur frapponendo fra sé e i sudditi l'antico severo cerimoniale, pur non imitando per nulla i re « democratici » dei piccoli Stati nordici, godette di una particolare, non volgare popolarità.
..Riassumendo, il principale presupposto per una rinascita della monarchia secondo la dignità e la funzione di cui si è detto, resta, a nostro parere, il destarsi di una nuova sensibilità per un ordine che si stacchi dal piano più materiale ed anche semplicemente « sociale », e tenda a tutto ciò che è onore, fedeltà e responsabilità, perché simili valori hanno nella monarchia il loro naturale centro di gravità; mentre, a sua volta, la monarchia risulterà degradata, ridotta ad una semplice sopravvivenza formale e decorativa quando tali valori non siano vivi e operanti — innanzitutto in una élite, in una vera classe dirigente. Non sono le stesse corde che il difensore dell'idea monarchica e quello di un qualsiasi altro sistema debbono far risuonare nel singolo e nella collettività. Così è assurdo affidare i destini dell'idea monarchica ad una propaganda e ad una prassi partitica che ricopi, ad un dipresso, i metodi della parte opposta in clima democratico. Anche il poter constatare oggi l'affacciarsi di tendenze verso un centro autoritario, verso una «monarchia» nel senso letterale (= monocrazia) non basta, dopo quel che abbiamo detto sulle differenze profonde che possono presentare le varie estrinsecazioni del principio di unità e di autorità. Il senso di ciò che non si lascia né vendere né comprare né usurpare nelle dignità e nella partecipazione alla vita politica è un fattore decisivo e sfugge come acqua fra le dita a chi pensa soltanto in termini di materia, di vantaggio personale, di edonismo, di funzionalità e di razionalità. Se di quel senso non si dovesse più parlare per effetto del famoso « senso della storia » marxista, che si pretende irrevocabile, tanto vale accantonare definitivamente la causa monarchica. Ciò equivarrebbe, peraltro, anche a professare il più tetro pessimismo nei riguardi di ciò a cui si può fare ancora appello nell'uomo dei tempi ultimi.

II

..Dopo aver considerato l'aspetto spirituale del problema della monarchia, è necessario indicare gli aspetti che si riferiscono al piano positivo, istituzionale e costituzionale. Su tale piano bisognerà ora precisare la funzione specifica da attribuire alla monarchia e ciò che differenzia un sistema monarchico da altri sistemi. Stupisce che un simile problema non venga quasi affatto affrontato dalla propaganda dei monarchici. Nelle elezioni si sono avuti, anche in Italia, discorsi di monarchici i quali hanno accusato, più o meno sulla stessa linea di altri settori dell'opposizione, le disfunzioni dello Stato repubblicano democratico e partitocratico, e il pericolo del comunismo, guardandosi però dall'indicare, senza mezzi termini e senza paura, in quali termini la presenza della monarchia andrebbe ad eliminare positivamente le une e l'altro, o, per meglio dire, in virtù di quali particolari prerogative la monarchia sarebbe da tanto.
.. Se si è veramente monarchici, non si può ammettere che la monarchia si riduca ad una semplice istituzione decorativa e di rappresentanza, una specie di bel sovramobile o, secondo l'immagine ricordata dal Loewenstein, qualcosa come la figura dorata che si metteva sulla prua di un galeone; lo Stato, in concreto, resterebbe quello delle democrazie parlamentari repubblicane, al re spettando solamente di controfirmare, come farebbe un presidente di repubblica, tutto ci ò che governo e parlamento deliberano. La restaurazione dovrebbe invece comportare una specie di rivoluzione ( o di contro-rivoluzione) monarchica.
.. Alla nota formula « il re regna ma non governa », si dovrebbe contrapporre l'altra: « il re regna e governa » — governa, naturalmente, non nei termini delle monarchie assolute di altri tempi, bensì, in via normale, nei quadri di un diritto e di una costituzione stabiliti. A tale riguardo il migliore esempio è stato proprio quello offertoci dalle precedenti monarchie centro-europee, per le quali il Loewenstein non ha nascosto la sua decisa antipatia. Al sovrano dovrebbe essere riservato non soltanto un potere regolatore, moderatore e arbitrale rispetto alle varie forze politiche ma altresì quello di una suprema istanza. Della costituzione e del diritto non si debbono fare dei feticci. Costituzione e diritto non cadono belli e fatti dal cielo, sono formazioni storiche e la loro intangibilità è condizionata dal corso normale delle cose. Quando questo corso viene meno, quando ci si trova di fronte a situazioni di emergenza, deve farsi valere positivamente un superiore potere che per essere rimasto latente e inattivo nelle condizioni normali, non per questo cessa di costituire il centro del sistema. Il re è il soggetto legittimo di tale potere. Egli può e deve esercitarlo ogni volta che sia necessario, dicendo: «Fin qui, e non più oltre», prevenendo sia ogni movimento rivoluzionario eversivo (prevenendolo mediante una «rivoluzione dall'alto»), sia qualsiasi rivolgimento dittatoriale la cui unica giustificazione è la mancanza di un vero centro di autorità.
..Non è detto che un simile potere debba essere esercitato direttamente dal sovrano; esso può esserlo per mezzo di un Cancelliere o primo ministro capace e deciso che, forte dell'appoggio della Corona e responsabile essenzialmente di fronte ad essa, può far fronte alla situazione. Il caso di Bismarck nel « conflitto istituzionale » ricordato dal Loewenstein corrisponde a questa possibilità. Sicuro della fiducia del sovrano, Bismarck poté tener anche in nessun conto l'opposizione del parlamento e seguendo la sua via fece la grandezza della Germania, ricevendo successivamente, in una nuova costituzione, la sanzione del suo operato.
.. Ci si potrebbe arrischiare a dire che, in parte, una situazione analoga a tutta prima si ebbe quando il re d'Italia appoggiò Mussolini concedendogli poteri che però lui stesso, Vittorio Emanuele, se non si fosse sentito così vincolato costituzionalmente, avrebbe potuto esercitare, tanto da imporre un ordine all'Italia sconvolta dalla sovversione e dalla crisi sociale mediante nuove strutture, senza aver bisogno del fascismo, e prevenendo quegli sviluppi — da alcuni definiti nei termini di una « diarchia » — che alla fine minarono in una certa misura la sua posizione per la presenza, quasi, di uno Stato entro lo Stato. Nelle ore decisive un sovrano non dovrebbe mai dimenticare il detto di un'antica sapienza: Rex est qui nihil metuit (È re chi nulla teme). Per un male inteso umanitarismo, in casi estremi perfino il pericolo di lotte nelle quali possa scorrere il sangue non deve impaurire perché qui non si tratta delle persone, ma di far regnare, al disopra di tutto, l'autorità, l'ordine e la giustizia contro le eventuali agitazioni di parte. La formula, l'abbiamo già indicata: « Fin qui, e non oltre ». In situazioni non eccezionali la concezione di Benjamin Constant della Corona come « quarto potere », come una funzione arbitrale e equilibratrice può essere accettata. Anche i diritti riconosciuti dal Bagehot alla Corona: diritto di essere interpellata, diritto di incitare, diritto di dare orientamenti, sono ineccepibili.
.. Pertanto, con una restaurazione monarchica dovrebbe venire effettuato uno spostamento del centro di gravità. Una rappresentanza nazionale può anche essere eletta dal « popolo », secondo l'una o l'altra modalità (su ciò torneremo), ma essa dovrebbe essere responsabile, in primis et ante omnia , di fronte al sovrano, secondo rapporti di una responsabilità personalizzata che già da sé chiuderebbe la via a tante forme di corruzione democratica. Il re dovrebbe essere, dunque, il supremo punto di riferimento, e dovrebbero essere sentiti gli accennati valori di lealismo e di onore, anziché essere, i rappresentanti, gli strumenti dei partiti e della misteriosa, labile entità «popolo» da essi strumentalizzata, ed a cui sola spetta il potere di conferma o di revoca secondo il sistema della democrazia assoluta, ossia del suffragio universale parificato.
..D'altra parte, per un vero rinnovamento monarchico bisognerebbe aver presente l'ideale di uno Stato organico, per cui non può essere evitato il problema della compatibilità, in genere, della monarchia col sistema, appunto, della democrazia assoluta parlamentare. La sovrapposizione dell'una all'altro può dar luogo solamente a qualcosa di ibrido. E' da ritenersi che se l'auspicato mutamento di mentalità si realizzerà, si verrà a poco a poco a riconoscere anche l'assurdità del sistema delle rappresentanze basato sul suffragio universale indiscriminato, cioè sulla legge del puro numero, avente per ovvio presupposto non la concezione del cittadino come una « persona » bensì la sua riduzione degradante ad un atomo indifferenziato intercambiabile.
.. A tale riguardo bisogna tener presente che una cosa è la democrazia nella sua forma assoluta moderna, un'altra è un sistema di rappresentanze, il secondo non coincidendo necessariamente con la prima. Si sa che un sistema di rappresentanze esistette anche negli Stati monarchici tradizionali, ma in genere come rappresentanze organiche, ossia di corpi, di ordini, di Stände, non di partiti ideologici. A voler considerare i partiti, il sistema migliore sarebbe quello bipartitico, ammettente una opposizione che agisca costruttivamente e dinamicamente entro il sistema, non al difuori di esso o contro di esso. (Ad esempio, che un partito comunista o rivoluzionario, sempreché osservi certe norme statuarie puramente formali, possa venire considerato « legale » ed essere ammesso in una assemblea nazionale benché il suo programma, dichiarato o tacito, sia il rovesciamento dell'ordine esistente, ciò è un vero assurdo). A parte la soluzione bipartitica, già adottata con vantaggio nell'Inghilterra monarchica, il sistema rappresentativo che pel suo carattere organico più si armonizzerebbe con la monarchia sarebbe quello corporativo, nel senso più vasto, tradizionale, senza riferimenti al tentativo, che fu fatto dal fascismo con la creazione di una Camera corporativa anziché partitocratica. Forse l'attuale sistema portoghese — meno quello spagnolo — si avvicina all'ordinamento auspicabile. Il Loewenstein ha messo in luce l'alternativa che si presenterebbe nel caso di una restaurazione, perché o il sovrano si appoggia alle classi superiori, più inclini a sostenere la monarchia, e allora farebbe il giuoco di coloro che sono pronti ad accusarlo di reazionarismo conservatore; ovvero va incontro alle classi lavoratrici e, in genere, si mette a fare il « re del popolo », e allora si alienerebbe pericolosamente quell'appoggio dell 'altra parte della nazione.
.. Ora, un simile bivio presuppone ovviamente il mantenimento, la perpetuazione dello stato di lotta di classe, nei termini dell'ideologia marxista. Ma noi riteniamo che uno dei presupposti per un ordine nuovo, organico e monarchico vada veduto proprio nel superamento di questa divisione antagonistica delle forze nazionali. A tanto dovrebbe mirare appunto la riforma corporativa, attuata la quale l'accennata alternativa di fronte a cui si troverebbe la monarchia restaurata verrebbe in gran parte meno. Anche se all'interno delle corporazioni, o come altro si voglia designare l'organo rappresentativo primario, si facessero valere opposte tendenze, vi è da pensare che la preminenza da dare al principio delle competenze ridurrebbe ampiamente, in tali divergenze, il fattore ideologico.
.. In un settore divenuto ormai sempre più importante il sistema delle rappresentanze corporative secondo competenze potrebbe presentare un carattere attuale per via dello sviluppo quasi teratologico presentato dall'elemento tecnocratico e, in genere, dall'economia. Si sa delle critiche mosse contro la civiltà tecnologica dei consumi nella società industriale più avanzata; gli aspetti distruttivi che le sono propri sono stati indicati, è stata espressa l'esigenza di porre un freno a processi economici divenuti pressoché indipendenti, come secondo l'imagine del « gigante scatenato » usata da W. Sombart. Ora non è concepibile un freno al sistema, un contenimento, senza l'intervento di un potere superiore, politico. Il compito di frenare e ordinare adeguatamente in base ad una gerarchia più completa di interessi e di valori le forze in movimento nell'anzidetta società, ovviando anche una situazione paradossale verificatasi nei tempi ultimi, quella di uno Stato sempre più forte con una testa sempre più debole, troverebbe evidentemente l'ambiente più favorevole per la sua realizzazione in un vero Stato monarchico. Istituzionalmente, l'organo potrebbe venire fornito o da un'assemblea unica, che però, a fianco dei rappresentanti delle forze economiche e produttive, comprenda anche rappresentanze della vita spirituale e culturale (come si ebbe, appunto, negli « Stati Generali » e in analoghe assemblee o Diete degli antichi regimi tradizionali monarchici), oppure dal sistema della doppia Camera, di una Camera Alta e di una Camera Bassa, la seconda essendo quella propriamente corporativa, nella prima facendosi valere invece istanze sovraordinate. Si sa che l'ultima « conquista » della democrazia assoluta è stata l'aver ridotto la Camera Alta, ossia il Senato, ad un inutile doppione dell'altra Camera perché anche per essa è stato fatto valere il principio dell'elezione di massa e delle nomine temporanee (almeno per la maggior parte dei componenti di essa). Come ancor nell'Italia di ieri, la definizione della Camera Alta dovrebbe essere, invece, uno dei compiti essenziali della monarchia, sia pure convenientemente assistita, permanendo il carattere formale della nomina dall'alto.
..Per tal via la Camera Alta resterebbe il corpo politico più vicino alla Corona e sarebbe naturale che in esso il lealismo, la fedeltà e l'impersonalità attiva fossero presenti al più alto grado. Essa dovrebbe avere un potere, una autorità, un prestigio e un significato diversi da quanto è proprio alla Camera Bassa. Custode di valori e di interessi superiori, essa costituirebbe il vero nucleo centrale dello Stato, la « testa » di esso. Andrebbe, pertanto, messo ben in rilievo il suo carattere funzionale attivo in sede di condeterminazione della linea politica, carattere che la differenzierà profondamente da quel che era stato, nell'Italia monarchica post-risorgimentale, il Senato: una assemblea di degne persone, di « alti ingegni », di notabili secondo il censo, però in veste essenzialmente decorativa, senza nessuna vera, vigorosa funzione organica.
.. Senza fermarsi sui dettagli, è chiaro che un sistema di tal genere supererebbe le aberrazioni della democrazia assoluta e della partitocrazia repubblicana e nella monarchia esso avrebbe la sua naturale integrazione. Qui la monarchia non sarebbe qualcosa di eterogeneo, quasi residuo di un altro mondo, sovrapposto al sistema parlamentare corrente. Pertanto, di rigore, il problema della monarchia rientra in un problema più vasto, quello del ridimensionamento « ri voluzionario » dell'intero Stato moderno.
.. Ma per le funzioni della monarchia che abbiamo cercato di tratteggiare, per potere, essa, non soltanto « regnare » ma aver anche una parte attiva — più o meno determinante a seconda delle circostanze — nel « governo », è chiaro che sarebbe necessaria una particolare qualificazione del sovrano non solamente sul piano del carattere, secondo la severa educazione tradizionale dei prìncipi, ma anche in fatto di competenza, di conoscenze e di esperienza. Ciò è reso necessario dal carattere sia dell'epoca che dello Stato moderno. Suggestiva è l'antica concezione estremo-orientale del wei-wu-wei, dell'«agire senza agire» regale, alludente non ad un'azione materiale diretta ma ad una azione « per presenza », come centro e potere quintessenziato. Questo aspetto, pur mantenendo la sua intrinseca validità nei termini dianzi accennati, quando, come nei tempi attuali e probabilmente, ancor più, come in quelli che si preannunciano, tutto è in moto e le forze tendono ad uscire dalla loro òrbita normale, ha bisogno di venire integrato, pur badando bene che per tal via esso non sia menomato. Come abbiamo detto, in altri tempi nel monarca il simbolo poteva anche avere la preminenza sulla persona; dato il clima generale e data la forza di una lunga tradizione e di una legittimità, esso poteva non venire pregiudicato dagli aspetti soltanto umani della persona che nell'uno o nell'altro caso lo incarnava. Se oggi o domani si dovesse venire ad una restaurazione monarchica, ciò non sarebbe più possibile: il rappresentante dovrebbe essere al massimo all'altezza del principio, non per una ostentazione della persona, anzi pel contrario. Dovrebbe avere le qualità anche di un vero capo, di un uomo capace di reggere lo scettro altrimenti che simbolicamente e ritualmente. Una tale qualificazione ai nostri giorni non può essere solamente quella delle epoche delle dinastie guerriere. Le doti di carattere, di coraggio e di energia, pur restando la base essenziale, dovrebbero unirsi a quelle di una mente illuminata e di conoscenze politiche essenziali, adeguate alla struttura complessa di uno Stato moderno e delle forze in atto nella civiltà contemporanea.
.. Il declino dei regimi tradizionali ha avuto due cause le quali hanno agito solidarmente ancor prima che vi si aggiungesse il clima materialistico della civiltà moderna e della società industriale. Da una parte, in alto vi è stata appunto la crescente incapacità di incarnare completamente il principio specie quando le strutture generali cominciavano a scricchiolare; dall'altra, in basso, si è avuto il venir meno, nei popoli divenuti più o meno « masse », di una determinata sensibilità, di certe capacità di riconoscimento. Pertanto la possibilità di una restaurazione monarchica subisce una duplice ipoteca, ed appare condizionata dalla rimozione di entrambi i fattori negativi. Sarebbero richiesti, da una parte, sovrani che non debbano il loro prestigio soltanto alla loro sopraelevata posizione, al simbolo che li adombra, ma che siano anche capaci di far fronte ad ogni situazione come esponenti di una idea e di un potere superiore. Dall'altra parte, occorrerebbe quel mutamento del livello mentale e morale generale delle masse, di cui non ci siamo stancati di sottolineare la necessità.
.. Al giorno d'oggi, l'una e l'altra condizione appaiono ipotetiche. Ma se non si deve venire alle conclusioni, essenzialmente negative, da trarre da studi sulla monarchia nello Stato moderno, come quello intrapreso dal Loewenstein; se essa non deve essere considerata unicamente come un istituto che, pallida ombra di quel che la monarchia è stata, è ora quasi interamente privo del suo significato e della sua essenziale ragion d'essere, non vi è altro modo di impostare il problema. Conviene dunque ripetere che il destino della monarchia appare essere, in un certo modo, solidale con quello dell'intera civiltà moderna e più propriamente dipende da quella che potrà essere la soluzione di una crisi la quale, come appare da indizi molteplici, di quella civiltà sta investendo le stesse fondamenta.